lunedì 11 marzo 2024

Non basta l'ammucchiata

 

 


Massimo Franco, Il messaggio per i leader, Corriere della Sera, 11 marzo 2024

... Forse non è cominciato il logoramento del governo, ma di certo si sta esaurendo la luna di miele. Sotto questo aspetto, i segnali che arrivano da Sardegna e Abruzzo possono rivelarsi salutari, se analizzati con freddezza e lucidità. Vale per le opposizioni ma ancora di più per il governo. Agendo e parlando come se fosse ancora minoranza, e usando a tratti un lessico poco presidenziale, la premier non trasmette il messaggio più efficace. E fingere che le cose vadano benissimo e che i ministri della destra stiano dando un’ottima prova, significa velare perplessità diffuse non solo nell’elettorato ma perfino a Palazzo Chigi. Di nuovo, il vantaggio è che sul versante opposto campeggiano sigle in concorrenza, se non in conflitto tra loro. I risultati delle ultime consultazioni, però, dicono che i vuoti si riempiono e le contraddizioni si diplomatizzano, e nel modo più imprevedibile. La domanda, semmai, è se l’unità di opposizioni così eterogenee reggerà a una sconfitta.

Stefano Lepri, Abruzzo: la sconfitta e il futuro del “campo largo”, Appunti, Substack, 11 marzo 2024

Il centrodestra ha vinto le elezioni regionali in Abruzzo con Marco Marsilio, confermato con un netto successo del 54 per cento. Quali sono le conseguenze sul cosiddetto campo largo (dal PD ai Cinque stelle ai centristi) che sperava di veder ribadita la possibilità di presentarsi come alternativa, dopo il successo in Sardegna?

Dipende dalla prospettiva.

Se fossi Giuseppe Conte sarei un po’ preoccupato, per due ragioni. La prima: i Cinque stelle in Abruzzo sono tracollati rispetto al 2019, che era il loro momento d’oro, al governo con la Lega, sull’onda dell’ascesa populista.

All’epoca i Cinque stelle avevano preso in Abruzzo 118.000 voti a sostegno di un loro candidato, oggi, in coalizione con il PD e gli altri dietro Luciano D’Amico, appena 40.000. Questa è una crisi ormai cronica del Movimento, e non c’è da stupirsi, ma mette in difficoltà il progetto della coalizione.

Anche perché il PD, invece, recupera gran parte dei consensi, probabilmente proprio dai Cinque stelle e passa da 67 mila a 120 mila voti.

Questa è la seconda ragione di preoccupazione, se fossi Conte: non soltanto il leader del Movimento si deve confrontare con un tracollo, ma anche con la ripresa del suo alleato-competitor.

Questa dinamica crea una percezione drasticamente diversa della sconfitta tra PD e M5s. Il PD perde, ma rinasce rispetto ai Cinque stelle.

Per Conte è una sconfitta su tutta la linea, che scommetto porterà a due considerazioni: si vince in coalizione solo quando il candidato è dei Cinque stelle (vedi Alessandra Todde in Sardegna), si perde negli altri casi, ma – andando verso elezioni europee con sistema proporzionale – nei prossimi 2-3 mesi converrà enfatizzare la competizione con il PD piuttosto che il potenziale di coalizione.

Per il PD è una sconfitta meno amara, perdere raddoppiando quasi i voti può comunque essere un risultato tattico accettabile, di sicuro è una sconfitta più dolce di quella del 2019 quando il PD schierava un peso massimo come Giovanni Legnini, uscito ammaccato dal voto.

La segretaria del PD Elly Schlein ha dimostrato di essere piuttosto pragmatica nel rapporto con i bizzosi Cinque stelle, non prova ad affermare la propria supremazia (anche perché il Pd, a livello nazionale, non stacca di molto il Movimento) ma si adatta al contesto.

Dunque, come può usare in senso costruttivo la sconfitta abruzzese? Io vedo una sola opzione: puntare, quando possibile, su candidati unitari che siano davvero terzi rispetto ai due partiti, per evitare che qualcuno possa intestarsi le vittorie e addebitare agli altri le sconfitte.

Se PD e Cinque stelle, ma anche con Azione, Verdi e sinistra e gli altri, vogliono costituire una alternativa di governo, devono formare una coalizione. E nelle coalizioni serve qualche collante, qualche elemento – e personaggio – di sintesi.

Non può essere un progetto nel quale c’è una costante competizione interna a somma zero tra Conte e Schlein.

Vent’anni di centrodestra insegnano che la competizione interna ai partiti di una coalizione è vitale, perché permette di trattenere i delusi del partito egemone che affluiscono a quello emergente nello stesso schieramento, ma servono perimetri chiari che evitino il deflusso verso l’astensione.

Il centrodestra ha costruito quel perimetro intorno alla forza del leader dello schieramento, prima Silvio Berlusconi e ora Giorgia Meloni. Il centrosinistra, nella sua storia, ci è riuscito solo quando ha identificato un federatore sopra le parti, Romano Prodi.

E questo federatore ancora non c’è, ma se non si trova – e con lui (o lei) non si costruisce un progetto politico che permetta di cooperare e competere insieme – l’Abruzzo sarà soltanto l’anteprima di più cocenti sconfitte.

 

sabato 9 marzo 2024

Una clamorosa lavata di capo. Lenin e Terracini

 

 


Claudio Rabaglino, Umberto Terracini. Un comunista solitario. Introduzione di Aldo Agosti. Donzelli, Roma 2024, pp. 270.

L’intransigenza di Bordiga si manifesta soprattutto nella gestione dei rapporti con l’Internazionale comunista, da subito decisamente conflittuali. Le deliberazioni della casa madre sono ampiamente criticate quando ritenute inapplicabili alla realtà italiana16.

Un primo serio attrito avviene in occasione del III Congresso dell’Internazionale, svoltosi nell’estate del 1921. L’oggetto del contendere è rappresentato dalle Tesi sulla tattica elaborate da Radek; esse, prendendo atto delle oggettive difficoltà che l’offensiva rivoluzionaria sta attraversando in tutta Europa, propongono una riorganizzazione del movimento comunista che punti a costruire un’alleanza transitoria con le forze socialiste, il cosiddetto “fronte unico”, pur non rinunciando all’obiettivo della conquista della maggioranza delle masse lavoratrici.

Il Pcd’I non condivide questa impostazione, giudicandola, non del tutto a torto, contraddittoria rispetto agli indirizzi precedenti della stessa Ic, che solo sei mesi prima aveva di fatto imposto la scissione17.

Terracini figura tra i membri della delegazione italiana che prende parte al Congresso. Si tratta della sua prima visita alla “patria del socialismo”. L’evento, così importante per la vita di un militante, viene vissuto con comprensibile grande emozione. L’entusiasmo, ampiamente condizionato dalla forza che il mito sovietico esercita su ciascun comunista, è forte già durante il lungo viaggio in treno, svoltosi in buona parte sulla celebre linea Transiberiana. Esso aumenta man mano che ci si avvicina a Mosca, attraversando le varie stazioni intermedie, le quali, “affollate di contadini che offrivano in vendita […] uova, latte, pollame”, davano ai viaggiatori “una impressione fallace di abbondanza”. Una volta messo piede sul territorio sovietico, prova sensazioni molto forti, tipiche di chi ha realizzato un sogno: “Ci sentivamo pervasi da un sentimento […] di gioia […] come di chi abbia raggiunto un agognato traguardo di vittoria […]. Vedevamo attorno a noi il nostro ideale fatto[si] […] realtà”18.

Tornando al Congresso, spetta proprio a Terracini esprimere tutte le perplessità del partito italiano. Già prima dell’inizio dei lavori, riportando le sue prime impressioni sulle riunioni preparatorie alle quali ha assistito, si mostra molto scettico sugli indirizzi che si stanno per assumere, spingendosi a formulare un giudizio drastico sulla dirigenza dell’Ic, i cui principali esponenti, compreso Lenin, avrebbero ormai “enormemente poggiato a destra”19.

Viste tali premesse, non stupisce che il suo intervento sia molto critico verso la linea del Comintern. La prevedibile emozione di prendere la parola al cospetto dello stato maggiore bolscevico, nella cornice sontuosa della Sala del Trono del Cremlino, non gli impedisce di partire subito all’attacco delle Tesi di Radek, le quali, pur disciplinatamente approvate, ritiene meritevoli di “sostanziali modifiche”. Parlando anche a nome di alcune delegazioni di altri partiti, tra cui la tedesca, Terracini espone quelle che sono al momento le posizioni più oltranziste e “di sinistra” del movimento comunista, che prevedono il mantenimento della prospettiva rivoluzionaria. Anche la conquista della maggioranza del proletariato è messa in discussione, poiché l’azione rivoluzionaria può concretizzarsi a prescindere dalle dimensioni del partito che la guida, come è dimostrato dall’esperienza sovietica, dove quella bolscevica altro non era che “una piccola e relativamente insignificante organizzazione”20.

Il discorso di Terracini provoca l’immediata, durissima, reazione di Lenin, che bolla le sue parole come “sciocchezze «di sinistra»”, contro le quali si impone “una azione offensiva”, onde evitare che il movimento comunista sia “condannato alla rovina”21. Il leader sovietico demolisce una per una le affermazioni del malcapitato Umberto: “Chi non capisce che in Europa […] dobbiamo conquistare la maggioranza della classe operaia […] non imparerà mai nulla”; né ha molto senso tirare in ballo il fatto che in Russia la rivoluzione abbia trionfato nonostante le dimensioni ridotte del partito bolscevico: “Il compagno Terracini non ha capito molto della rivoluzione russa. Noi […] eravamo un piccolo partito, ma avevamo con noi la maggioranza dei Soviet […] di tutto il paese. E voi? Avevamo con noi quasi la metà dell’esercito […]. Avete voi forse la maggioranza dell’esercito?”22. Inoltre, per prevalere è necessario conquistare “non soltanto la maggioranza della classe operaia”, ma anche quella “degli sfruttati e dei lavoratori rurali”23.

Una clamorosa lavata di capo, resa ancora più umiliante dal fatto che le parole di Lenin vengono salutate da ripetuti scoppi di ilarità da parte del pubblico.

È evidente che il principale intento di Lenin, più che quello di attaccare personalmente Terracini, sia stato quello di lanciare un segnale politico ad una parte non trascurabile del movimento comunista che in quel momento dissentiva; tuttavia il fatto che il suo nome sia ripetutamente citato conferisce alla cosa una dimensione inevitabilmente personale.

Viene da chiedersi cosa mai abbia provato Terracini nel sentire il padre della rivoluzione, figura mitica agli occhi di ogni militante comunista, scagliarsi con tanta veemenza contro di lui, se abbia prevalso l’orgoglio di essere in quel momento l’interlocutore privilegiato di Lenin, oppure, com’è molto più probabile, se abbia trascorso il tempo del discorso del capo della rivoluzione, per sua fortuna piuttosto breve, con prevedibile angoscia, vivendo forse una delle situazioni più imbarazzanti della sua vita politica.

L’episodio sarà ricordato come uno dei momenti topici della sua carriera. Lui stesso tornerà più volte sull’argomento, talvolta per confessare il senso di vergogna provato in quei momenti (“ebbi l’impressione […] che Lenin mi giudicasse uno stupido”24, dichiarerà al giornalista Vittorio Gorresio), in altre occasioni per accreditare, con una punta di civetteria, ricostruzioni tendenti ad enfatizzare il suo ruolo nella vicenda; in un’intervista degli anni Settanta, ad esempio, lascerà intendere che il suo intervento abbia indotto Lenin a scrivere il famoso pamphlet L’estremismo, malattia infantile del comunismo25, feroce critica dell’ala sinistra del movimento comunista. La memoria, in questo caso, lo tradisce: il volume, infatti, è stato pubblicato nel 1920 e non può essere, pertanto, una risposta ad un discorso da lui pronunciato esattamente un anno dopo.

Oltre a una sua naturale tendenza a dire sempre quello che pensa, senza curarsi troppo delle possibili conseguenze, emerge nitidamente, a partire da questa occasione, una indipendenza di giudizio nei confronti della “casa madre” sovietica, verso la quale non mostra alcun timore reverenziale. Questo approccio non fideistico verso la “patria del socialismo”, come vedremo, continuerà a caratterizzarlo anche in seguito, soprattutto durante la lunga stagione della leadership staliniana. 

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16 Su questo vedi J. Humbert-Droz, Il contrasto tra l’Internazionale e il P.C.I., Feltrinelli, Milano, 1969. 17 Sulla contraddittorietà della nuova linea, vedi Pons, La rivoluzione globale, cit., p. 46. 18 Un giovane nella Russia di Lenin, cit. 19 Lettera di Terracini al Ce del Pcd’I, Mosca, 22-6-1921, IG, APC, Fondo 513, fasc. 37. 20 Discorso di Terracini al III Congresso dell’Ic, 1-7-1921, testo consultabile alla pagina www.international-communist-party.org/Italiano/Document/IC3Congr.htm.
18 Un giovane nella Russia di Lenin, cit.
19 Lettera di Terracini al Ce del Pcd’I, Mosca, 22-6-1921, IG, APC, Fondo 513, fasc. 37.
20 Discorso di Terracini al III Congresso dell’Ic, 1-7-1921, testo consultabile alla pagina www.international-communist-party.org/Italiano/Document/IC3Congr.htm.
21 Discorso in difesa della tattica dell’Internazionale comunista, 1-7-1921, in V. Lenin, Opere scelte, vol. VI, Editori Riuniti, Roma, 1975, p. 491. 22 Ivi, p. 493.
23 Ivi, p. 498.
24 V. Gorresio, Il solitario del Pci, «La Stampa», 2-8-1975.
25 Vedi Un giovane nella Russia di Lenin, cit. Per una ricostruzione autobiografica dell’episodio, vedi anche Tre incontri con Lenin, «l’Unità», 21-1-1960.

 https://www.donzelli.it/libro/97888552256

lunedì 26 febbraio 2024

L'horloger, una epopea postmoderna in forma di thriller

 


 

Jérémie Claes, L'Horloger, Héloïse d'Ormesson, Paris 2014

Il libro si presenta come un thriller e a me i thriller in genere non piacciono. Lo apro lo stesso, comincio a leggerlo e mi ritrovo in un quadro che mi è molto familiare. Non per via della trama (che rientra nel quadro formale del thriller), ma per via del testo (il contenuto) che fa pensare a un'epopea fantastica, il genere al quale appartiene l'Orlando furioso dell'Ariosto. Tipica è anche la scelta del linguaggio. Il francese classico non è abbandonato del tutto, ma la scena è dominata da un gergo giovanile e volgare. Il quadro  ideologico mi riporta a un ambiente del quale ho fatto parte in passato, l'insegnamento laico organizzato  sul suo territorio dal Comune di Bruxelles. Nel libro i valori di fondo restano quelli della modernità, mentre l'apparenza superficiale ha una composizione postmoderna. E postmoderno è l'universo nel quale si collocano gli eventi narrati. Il protagonista Jacob Dreyfus è a sua volta la quintessenza di un cittadino belga evoluto e laico. Scientia vincere tenebras, dice il motto dell'Università libera di Bruxelles. Tutto lo scontro messo in scena oppone il bene al male. L'autore ha una bella immaginazione e si scatena a suo piacimento. Thriller e fantasy mescolati, un po' come nel Signore degli anelli. mentre l' attenzione per il linguaggio fa pensare a Sanantonio, Frédéric Dard. In modo inatteso, il soprannaturale ha un ruolo decisivo nei due campi. Jacob Dreyfus è ateo, lui e il suo entourage sono degli epicurei. Il vino è per loro un asse portante della vita. Funziona come la pozione magica in Asterix, permette di superare le difficoltà. I pasti sono passaggi forti, fondamentali dell'esistenza. Cucina francese e italiana. Gli italiani peraltro sono visti spesso con un occhio favorevole. Le italiane sono addirittura poste in primo piano, italiana è Lucie, la seconda moglie di Jacob Dreyfus, italiana è la donna legata a Solane, il poliziotto che protegge Jacob. Il dialogo occupa molto spazio nel racconto. Jérémie Claes è un uomo di teatro. Si veda anche per questo il ricorso all'agnizione : Dolores-Soledad, Jacob-Cyril. Il nonno di Dreyfus (Alfred) si chiamava Jacob, qui i genitori vengono da Vichy. L'ebreo ha le sue radici nel cuore della Francia.

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Pour moi le texte est intéressant  encore plus que le récit. Le livre contient une image très saisissante d'un univers postmoderne. Jacob Dreyfus est à son tour la quintessence d'un citoyen belge évolué et laic. Scientia vincere tenebras. Le livre met en scène un affrontement entre le bien et le mal. L'auteur a une belle imagination et s'en donne à coeur joie. Thriller et fantasy mélangés, un peu comme dans le Seigneur des anneaux, tandis que l' attention pour le langage fait penser à Sanantonio Frédéric Dard. L'épopée n' est pas loin, une épopée fantastique qui a un ancêtre illustre, le Roland furieux (1516). D'une manière inattendue, le surnaturel a un rôle décisif dans les deux camps. Jacob Dreyfus est athée, lui et son  entourage sont des épicuriens. Le vin est un élément qui pemet de tourne la page, les repas donnent une signification supérieure à l'existence. Cuisine francaise et italienne. Les italiens d'ailleurs sont vus d'un oeil favorable. Le dialogue prend beaucoup de place dans le récit. Jérémie Claes est un homme de théatre. Le recours à l'agnition. Dolores-Soledad, Jacob-Cyril. Le grand père de Dreyfus (Alfred) s'appelait Jacob, ici les parents viennent de Vichy. Le juif se situe par ses origines au coeur de la France.

lunedì 19 febbraio 2024

José Gotovitch

 

 


Un "mostro sacro" della ULB ci ha appena lasciati. José Gotovitch detto Gotò è morto. Nato nel 1940, nelle Marolles, rione popolare vicino al centro di Bruxelles, sarà salvato dalla deportazione grazie alla solidarietà di quartiere durante una retata e vivrà la guerra dalle parti di Namur come bambino nascosto. Iscritto nel 1957 alla ULB, partecipa alle attività del Circolo studentesco comunista. Il giovane attivista è appassionato di solidarietà e lotta. Nel 1960 lo studente parte per Cuba. Incontrando laggiù Che e Fidel Castro. Questo incontro gli dà un'aura con le generazioni che ha formato. Sarà tra i primi a lavorare sulla storia della seconda guerra mondiale e pubblicherà con Jules Gérard-Libois "L'An 40", libro che mantiene la sua rilevanza ancora oggi, uno dei bestseller della storia belga. José diventa quindi un personaggio pubblico, ospite molto regolare di programmi radiofonici o televisivi. Rinomato specialista della seconda guerra mondiale, dedicò la sua tesi di dottorato alla resistenza comunista e diresse CegeSoma, il Centro Federale per gli Studi della Guerra e della Società. Oltre a dirigere questo centro di eccellenza, affascinerà generazioni di studenti delle scienze umanistiche e sociali nel suo grande corso di storia contemporanea. José amava insegnare, era, secondo le sue parole, "la gioia della sua vita". Ha anche guidato il seminario di storia contemporanea e ha insegnato ai giovani storici il metodo, il rigore e la "costruzione" della storia. Insegnare era "il suo respiro". Per la sua finezza e intelligenza ma anche per la sua eloquenza ed entusiasmo, José Gotovitch non poteva lasciare indifferente. Impegnato, rigoroso, lascia un vuoto enorme ma anche inevitabile lavoro di ricerca.

Annemie Schaus, rettrice dell'Università libera di Bruxelles

 https://www.journalbelgianhistory.be/nl/system/files/edition_data/articlepdf/ART_Lagrou_Conway_BTNG-RBHC_2019.2-3.pdf

domenica 18 febbraio 2024

Schlein, qualcosa si muove


                                                             Alessandra Todde

 

Marina Della Croce, Schlein avvisa i suoi: «La destra è divisa». Nodo terzo mandato, il manifesto, 18 febbraio 2024

Elly Schlein riunisce la segreteria del Partito democratico in vista della direzione di domani e invita i suoi a restare all’erta: «Le divisioni delle maggioranza sono sempre più evidenti». Il riferimento è allo scontro di questi giorni sul terzo mandato ma anche alle divaricazioni che emergono sulla politica estera. La segretaria ha rivendicato «l’avanzamento che il Pd ha fatto fare al Parlamento con la richiesta del cessate il fuoco in Medio Oriente» e ha citato gli imbarazzi dei salviniani sulla morte di Navalny: «Le Lega ieri ha difeso Putin attraverso le dichiarazioni di Crippa a cui abbiamo reagito – afferma – Per noi le responsabilità di Putin sono forti».

IL RESTO della discussione ha riguardato il congresso del Pse dei prossimi 1 e 2 marzo. Il fatto che i socialisti europei abbiano scelto Roma per il congresso, che si terrà alla Nuvola dell’Eur, dimostra che «l’Italia sarà centrale nella sfida tra la nostra famiglia politica e la destra». Per il Pd si tratta di un «riconoscimento delle battaglie che il partito e la segreteria Schlein stanno portando avanti». Durante il congresso verrà anche adottato il manifesto elettorale del Pse per le europee, anche se le linee politiche dei diversi partiti fratelli in questi mesi non sono apparse del tutto coincidenti (si pensi alle diverse posizioni prese dal premier spagnolo Pedro Sanchez e dal presidente del consiglio tedesco Olaf Scholz). Ma circola già una bozza di documento al quale Schlein avrebbe contribuito «in maniera fondamentale» su due punti in particolare: pace e lavoro. L’occasione non è servita a dirimere la questione su un impegno diretto della segretaria all’appuntamento elettorale di giugno. «Prima viene la squadra – ribadiscono dal Partito democratico – Facciamo le liste e poi valutiamo se è utile una candidatura della segretaria. Nessuno durante la segreteria di questa mattina ha messo sul tavolo la questione. Il fatto che ci stia ragionando su non è tatticismo politico, ma una scelta di metodo».

MA LA VICENDA del terzo mandato ha creato tensioni anche tra i dem. Dalla riunione di ieri tendono a minimizzare. «Il punto vero è la divisione della maggioranza – dicono – Il Pd non ha i numeri per decidere, la nostra posizione passa in secondo piano mentre di là litigano. Quelle della destra sono divisioni, le nostre sono discussioni. Noi siamo un partito che discute non un partito a conduzione familiare». Dunque, anche questa discussione si farà proprio in direzione, coinvolgendo anche gli amministratori locali e «senza posizioni cristallizzate». La vicenda è rilevante anche perché se, come al momento sembra, con la destra è divisa si dovesse arrivare alla conta in commissione affari costituzionali, la posizione assunta dal Partito democratico potrebbe fare la differenza. Dopo la strage di Firenze, inoltre, il Pd intende seguire il modello della mozione sul Medio Oriente e richiamare l’attenzione del governo anche sul tema della sicurezza sul lavoro «dal momento che palazzo Chigi «ha gli strumenti per affrontare la questione: non basta più il cordoglio, servono misure urgenti ed efficaci». Quanto al confronto tv con Giorgia Meloni, trapelano le seguenti cose: si farà, non si sa ancora su che canale televisivo, non sarà a brevissimo. 

IERI GIUSEPPE CONTE, impegnato per le regionali per Alessandra Todde, ha esaltato il modello della coalizione e chiesto che Schlein compaia al suo fianco su di un palco isolano in occasione della fine della campagna elettorale: «Sicuramente questo è un esperimento che ha portato a un progetto serio e credibile – ha detto il leader del Movimento 5 Stelle – Forze progressiste e civiche che hanno lavorato intensamente per un programma coeso e obiettivi condivisi». Al Nazareno, dove si attendono che lo stesso spirito ecumenico emerga anche in altri territori (in primis il Piemonte), fanno sapere di aver «registrato» la richiesta dell’avvocato.

Elly Schlein riunisce la segreteria del Partito democratico in vista della direzione di domani e invita i suoi a restare all’erta: «Le divisioni delle maggioranza sono sempre più evidenti». Il riferimento è allo scontro di questi giorni sul terzo mandato ma anche alle divaricazioni che emergono sulla politica estera. La segretaria ha rivendicato «l’avanzamento che il Pd ha fatto fare al Parlamento con la richiesta del cessate il fuoco in Medio Oriente» e ha citato gli imbarazzi dei salviniani sulla morte di Navalny: «Le Lega ieri ha difeso Putin attraverso le dichiarazioni di Crippa a cui abbiamo reagito – afferma – Per noi le responsabilità di Putin sono forti».

IL RESTO della discussione ha riguardato il congresso del Pse dei prossimi 1 e 2 marzo. Il fatto che i socialisti europei abbiano scelto Roma per il congresso, che si terrà alla Nuvola dell’Eur, dimostra che «l’Italia sarà centrale nella sfida tra la nostra famiglia politica e la destra». Per il Pd si tratta di un «riconoscimento delle battaglie che il partito e la segreteria Schlein stanno portando avanti». Durante il congresso verrà anche adottato il manifesto elettorale del Pse per le europee, anche se le linee politiche dei diversi partiti fratelli in questi mesi non sono apparse del tutto coincidenti (si pensi alle diverse posizioni prese dal premier spagnolo Pedro Sanchez e dal presidente del consiglio tedesco Olaf Scholz). Ma circola già una bozza di documento al quale Schlein avrebbe contribuito «in maniera fondamentale» su due punti in particolare: pace e lavoro. L’occasione non è servita a dirimere la questione su un impegno diretto della segretaria all’appuntamento elettorale di giugno. «Prima viene la squadra – ribadiscono dal Partito democratico – Facciamo le liste e poi valutiamo se è utile una candidatura della segretaria. Nessuno durante la segreteria di questa mattina ha messo sul tavolo la questione. Il fatto che ci stia ragionando su non è tatticismo politico, ma una scelta di metodo».

MA LA VICENDA del terzo mandato ha creato tensioni anche tra i dem. Dalla riunione di ieri tendono a minimizzare. «Il punto vero è la divisione della maggioranza – dicono – Il Pd non ha i numeri per decidere, la nostra posizione passa in secondo piano mentre di là litigano. Quelle della destra sono divisioni, le nostre sono discussioni. Noi siamo un partito che discute non un partito a conduzione familiare». Dunque, anche questa discussione si farà proprio in direzione, coinvolgendo anche gli amministratori locali e «senza posizioni cristallizzate». La vicenda è rilevante anche perché se, come al momento sembra, con la destra è divisa si dovesse arrivare alla conta in commissione affari costituzionali, la posizione assunta dal Partito democratico potrebbe fare la differenza. Dopo la strage di Firenze, inoltre, il Pd intende seguire il modello della mozione sul Medio Oriente e richiamare l’attenzione del governo anche sul tema della sicurezza sul lavoro «dal momento che palazzo Chigi «ha gli strumenti per affrontare la questione: non basta più il cordoglio, servono misure urgenti ed efficaci». Quanto al confronto tv con Giorgia Meloni, trapelano le seguenti cose: si farà, non si sa ancora su che canale televisivo, non sarà a brevissimo.

IERI GIUSEPPE CONTE, impegnato per le regionali per Alessandra Todde, ha esaltato il modello della coalizione e chiesto che Schlein compaia al suo fianco su di un palco isolano in occasione della fine della campagna elettorale: «Sicuramente questo è un esperimento che ha portato a un progetto serio e credibile – ha detto il leader del Movimento 5 Stelle – Forze progressiste e civiche che hanno lavorato intensamente per un programma coeso e obiettivi condivisi». Al Nazareno, dove si attendono che lo stesso spirito ecumenico emerga anche in altri territori (in primis il Piemonte), fanno sapere di aver «registrato» la richiesta dell’avvocato.

lunedì 12 febbraio 2024

Luisa Ghini

   

 


Maria Luisa Righi

Nel giorno del ricordo
10/02/1920 - 27/04/2006. Viekoslava Deskovic da noi conosciuta come Luisa Ghini, è nata a Sebenico in Dalmazia.
Militante antifascista iugoslava, fu portata al confino a Ventotene dalle milizie fasciste che occupavano il suo paese.
Nella primavera del 1942 tutta la sua famiglia venne arrestata, e la madre e la sorella Julka, alla quale avevano fucilato il marito, rinchiuse nel carcere di Fossombrone. Suo fratello Ivan era già nel carcere di Alessandria.
Luisa fece domanda al Ministero degli Interni affinché la sorella fosse trasferita a Ventotene.
II trasferimento fu approvato e Luisa poté ricongiungersi con la sorella. " Quando sulla piazzetta apparve la sottile figura di mia sorella avvolta in nero, il cuore mi si fermò".
Luisa Ghini viene trasferita con la sorella Julka nel campo di concentramento di "Fraschette" vicino ad Alatri. "Lungo il viaggio di trasferimento" racconta Luisa, "cantavamo le nostre canzoni rivoluzionarie, tanto, dicevamo, i poliziotti non ci capiscono!" In quel campo vi erano richiusi più di 4000 iugoslavi in prevalenza donne e bambini. Luisa incontra le madri dei sui compagni di lotta partigiana. fucilati dai fascisti . "La vita nel campo era disastrosa. I bambini non avevano neppure un poco di latte. Noi a Ventotene avevamo imparato che si combatte anche nei campi di concentramento, andammo subito a protestare presso la direzione. Ricordo che con il mio italiano un poco sgrammaticato minacciai il direttore che ci saremmo rivolti alla Croce Rossa perché conoscevamo le norme sul trattamento degli internati. Il giorno dopo i bambini ebbero il loro latte."
L'8 settembre 1943 nel campo di Fraschette arriva la notizia dell'Armistizio. "Era verso sera. Il campo esplose. I canti, i cortei, madri con i figli in braccio tutti felici, finalmente si pensava, saremmo tornati a casa." Ma la gioia durò poco, qualche giorno dopo il quel campo arrivarono i camion di tedeschi.
Si riunì allora il comitato del partito per capire cosa fosse meglio fare. Luisa e un gruppo di altre quattro compagne decisero di evadere. "Noi provenienti da Ventotene sapevamo che il Partito comunista italiano in caso di occupazione tedesca avrebbe organizzato la resistenza chiamando alla lotta tutti gli antifascisti" Scrive sempre Luisa nell'articolo richiamato. "Bisognava parteciparvi" .
Così quella notte Luisa e le sue compagne scavalcano la recinzione. "Nel correre via, le nostre gavette legate alla cintola tintinnavano come campanelle, potevamo essere scoperte da un momento all'altro ma a noi, giovani e forse un po' incoscienti, la cosa fece ridere a crepapelle!"
Dopo la rocambolesca fuga dal campo, Luisa arriva al Roma e poi si reca a Bologna dove abitava la famiglia di Celso Ghini (divenuto suo compagno a Ventotene). Nell'agosto del '44 la sorella Julka che faceva la staffetta per i partigiani, da Bologna si sposta a Parma, dove purtroppo viene arrestata e deportata a Ravensbruck dove morirà.

sabato 10 febbraio 2024

Eric Zemmour

 


 

 

 Il tribuno razzista alleato di Meloni in Europa

editorialista
di Massimo Nava

Éric Zemmour considera l’Islam - e non solo l’islamismo radicale - come un fatto politico, non religioso. Un fatto politico non può essere assimilato. È uno Stato nello Stato. Quindi, un nemico. È in questo spirito che ha scelto il nome Reconquete per il suo un partito. Un ricordo della Reconquista spagnola sotto i re cattolici, che terminò con la successiva espulsione degli ebrei (1492) e dei musulmani (1502). Nelle circostanze attuali, è un avvertimento rivolto a questi ultimi: sta ai musulmani di Francia scegliere tra la religione o la valigia. Zemmour non esita, pur essendo ebreo, a difendere la memoria del maresciallo Pétain. Di conseguenza, il capitano Dreyfus sarebbe stato davvero un «traditore».

Un fenomeno culturale amplificato ha conseguenze politiche impreviste. La Francia è percorsa da anni dalla roboante retorica nazionalista dello scrittore che ha sognato di passare dalla testa delle classifiche in libreria al comando della Nazione, agitando i fantasmi dell’islamizzazione del Paese con spregiudicate diagnosi sul «tradimento» dei padri della patria, Victor Hugo e il generale de Gaulle. Dopo la sconfitta alle elezioni presidenziali, eliminato dalla corsa con un modesto 7 per cento, Zemmour continua a troneggiare nelle vetrine delle librerie e nei media francesi. La narrazione è fatta di provocazioni politiche, conferenze contestate o annullate, cronache giudiziarie e gossip sulla vita privata e sentimentale. Durante la campagna elettorale, è stata resa pubblica la love story con la sua assistente e responsabile per la stampa. Il profeta dell’apocalisse sociale della Francia ha risvegliato gli anticorpi della politica, ma ha obbligato la classe politica e l’opinione pubblica a fare i conti con i suoi proclami e a interrogarsi sullo stato di salute sociale della Francia.

La storia personale scrive al tempo stesso il percorso drammatico di un intellettuale brillante e una vicenda emblematica dell’immigrazione francese, dello scontro sotterraneo fra ebraismo e radicalismo islamico e della reazione emotiva di fronte a fenomeni che fanno parte della storia nazionale. La sua famiglia proviene dall’Algeria. Infanzia e giovinezza s’intrecciano con le vicende della ex colonia. Due anni prima dello scoppio della guerra d’Algeria - siamo nel 1952 - Roger e Lucette Zemmour, i suoi genitori, lasciarono Constantine per trasferirsi a Montreuil, periferia di Parigi. Montreuil è il cuore dell’immigrazione, la periferia più interessante per chi vuol studiare un microcosmo di culture, etnie e religioni. Zemmour ha cancellato anche la storia, i ricordi, i condizionamenti di un’evoluzione sociale complessa fino ad elaborare la teoria della sostituzione progressiva, il tempo in cui nordafricani e e musulmani avranno il sopravvento demografico sulla popolazione francese europea e bianca. Tema questo caro a un altro scrittore di successo, Michel Houellebecq.

Zemmour è il più deciso sostenitore di politiche di espulsione dei nuovi arrivati e rieducazione degli stranieri, senza troppi distinguo fra quanti sono migranti e quanti sono figli e nipoti dei primi migranti e oggi cittadini francesi. Zemmour si rivolge alla borghesia cosiddetta «patriottica» contro una quinta colonna definita: i musulmani. È un’epidemia di parole. Nato in Francia nel 1958, si dichiara un francese di fede ebraica e di origine berbera, ma nega la lontana discendenza araba. Il teorema è semplice: il musulmano postcoloniale di oggi è discendente dell’arabo colonizzato di ieri e rappresenta un pericolo demografico e culturale. Le tensioni tra giovani ebrei e musulmani sono in aumento. Zemmour ha pubblicato un romanzo nel 2008, Petit Frère, ispirato alla storia di un giovane francese di fede ebraica assassinato da un vicino di casa di origine musulmana, nel 19° arrondissement di Parigi. In un’intervista al settimana di destra Valeurs (5 gennaio 2022), ha spiegato programma e pensiero. «Il popolo si è allontanato dalla sinistra, per la semplice ragione che la sinistra si è allontanata dal popolo per sottomettersi alle minoranze. Ponendo la questione della sopravvivenza della Francia, non ignoravo a cosa mi stavo esponendo. È la domanda fondamentale che tormenta i francesi e che è proibita dai media, dalle élite politiche, culturali e intellettuali. E poiché nessuno ha osato fare questa domanda, non ho avuto altra scelta che presentarmi alle elezioni».

«L’assimilazione che propongo è stata la regola per secoli. Quando ero a Sciences Po, negli anni 70, nessuno si scandalizzava nel sapere che certi benefici sociali erano riservati ai cittadini francesi». Zemmour, allontanato a suo tempo dal Figaro e non gradito su diversi canali televisivi che peraltro avevano contribuito al suo successo editoriale, è traslocato sui canali del finanziere Vincent Bolloré
e in particolare sulla rete di notizie 24 ore, CNnews. Da qui ha lanciato la candidatura all’Eliseo, auspicando deportazioni di clandestini e assimilazione di minoranze etniche. Naturalmente, i media di Bollorè hanno continuato ad ospitare e pubblicare personalità politiche e intellettuali di varie tendenze (uno degli autori di spicco è Bernard Henri Lévy), ma il megafono a favore di Zemmour, in stile Fox News, è suonato in modo così ossessivo da provocare addirittura un’audizione al Senato.

«Ci sono tante posizioni nei nostri programmi e nei libri che pubblichiamo. Non ha senso un canale d’opinione. Non ho il potere di nominare nessuno. Gli interessi del nostro gruppo sono il cinema, lo sport e le serie», si è difeso Bolloré. In effetti, le recenti simpatie islamofobiche e sovraniste contrastano con relazioni a tutto campo, com’è buona regola per un uomo d’affari. Il gruppo ha curato a suo tempo la comunicazione di personalità della sinistra, da Bernard Kouchner a Dominique Strauss Kahn, il candidato socialista all’Eliseo poi travolto dallo scandalo della cameriera stuprata al Sofitel di New York. Padre e figlio, Iannick, hanno sostenuto la sindaca socialista di Parigi. In precedenza, avevano sostenuto il sindaco socialista Bertrand Delanoe, in coincidenza dell’appalto per le auto elettriche in car sharing. Uno degli ascoltati consiglieri di Bollorè è stato Alain Minc, oggi vicino a Macron.

Ma che cosa succederà se un giorno non lontano Marine Le Pen o Eric Zemmour dovessero conquistare l’Eliseo? Bollorè consoliderà la rivoluzione/evoluzione del conservatorismo francese? La risposta potrebbe risiedere nelle pieghe meno evidenti dell’impero: il settanta per cento dei libri scolastici, la metà dei tascabili, la distribuzione dei libri, le grandi case editrici e le vetrine invase da Zemmour e Houellebecq. Ma sopratutto il consenso di una Francia (e di un’Europa) spaventata dai flussi migratori incontrollati, dall’insicurezza - percepita - nelle città, dalla crisi economica che declassa il ceto medio e rende i ricchi sempre più ricchi. Se la sinistra annaspa o si radicalizza, la destra seduce. E il mondo inquinato dai social network produce semplificazioni antagoniste: noi e loro, io e l’altro. Zemmour, cervello fino, lo ha capito con grande anticipo.