venerdì 21 dicembre 2012

Individualismo buono e cattivo



Osservatori attenti della società contemporanea hanno notato un forte ritorno dell’individualismo come fenomeno reale sulla scena a partire dagli anni Settanta e Ottanta del Novecento. Quella stagione non è ancora finita.  L’apparente trionfo dell’individuo nella società attuale ha suscitato molte critiche; e somiglia peraltro assai poco a ciò che in passato la parola “individualismo” evocava in altri contesti.  
Il fatto è che quella parola racchiude in sé una molteplicità di significati diversi. E lo stesso individualismo come filosofia non ha trovato nel corso del tempo una sistemazione teorica stabile. Il testo che meglio fa il punto sulla questione si apre con una storia semantica della parola stessa “individualismo”[1]. E questa normalmente, come se non bastasse, designa tanto un fenomeno reale quanto un certo ordine di idee. Non sempre, nell’uso corrente della parola stessa, la distinzione è chiara, ma l’incertezza dei confini non ha certo giovato alla popolarità dell’idea.
Alcuni autori hanno voluto separare una concezione buona da una cattiva. A suo tempo E. Durkheim distingueva  l’individualismo come ideale quasi religioso da ciò che proponevano H. Spencer e gli economisti: un utilitarismo stretto e un egoismo utilitario, un commercialismo meschino[2]. Molti anni dopo F. von Hayek ha compiuto un’operazione analoga:  ha contrapposto il vero al falso  individualismo. Vero per lui era l’individualismo liberale di origine inglese, legato a nomi come Hume e Smith, ma anche Constant e Tocqueville. La parte della falsa dottrina in Hayek spettava invece all’individualismo cartesiano di origine francese; qui si incontravano i nomi di Rousseau e Voltaire, ma anche quelli di Bentham e Stuart Mill[3]. Nella classificazione di Durkheim, Rousseau figurava tra i buoni, insieme a Kant… Forse oggi non è dal lato delle dottrine che l’individualismo suscita le maggiori preoccupazioni. E non lasciano a desiderare neppure gli studi sul fenomeno reale. E’ l’individualismo come fenomeno reale che ora lascia perplessi gli stessi suoi difensori meglio intenzionati[4]. Sarebbe allora interessante avviare un ragionamento su ciò che è accaduto. Questa è un’operazione che in Italia specialmente è resa più complicata dal lessico. Stando al significato corrente della parola individualismo da noi potrebbe anche non essere accaduto nulla.
L’amore di sé e la tendenza a esagerare l’importanza del ruolo svolto dal singolo come soggetto sono tendenze che non si possono reprimere manipolando il vocabolario. Non porta lontano il tentativo di estirpare dalla parola individualismo le accezioni troppo legate alla cura più o meno esclusiva dell’interesse personale. D'altra parte è innegabile che con il tempo, e in alcuni paesi molto presto, “individualismo” ha assunto anche un altro significato, che si riferiva a un esercizio maturo e orgoglioso della libertà personale. E la parola ha con un significato simile finito per avere in inglese una valenza positiva o neutra. Ora in italiano (come in francese del resto) sono rimaste invece più marcate le tracce della valenza negativa che la parola stessa aveva all’inizio, quando era un sinonimo di egoismo. Questa particolarità ha una spiegazione storica[5]. Il significato più comune della parola individualismo in italiano segnala un difetto. Il Sabatini Coletti è in tal senso molto chiaro: “perdita [grassetto aggiunto da me, gc] della coscienza del nesso tra individuo e società, per cui il primo tende ad affermarsi di contro alla seconda; estens. egoismo”.  L’egoismo come tratto distintivo eventuale compare anche nel Devoto Oli e riguarda sempre il significato corrente del termine individualismo: “tendenza a svalutare gli interessi o le esigenze della collettività in nome della propria personalità o della propria indipendenza o anche del proprio egoismo”.
Le due grandi tendenze che possono essere associate al concetto di individualismo sono poi queste: l’attaccamento all’interesse personale (l’agire per sé) e l’indipendenza, meglio ancora l’autonomia morale e intellettuale (l’agire da sé  e, prima ancora, il pensare da sé)[6]. Anche la seconda possibilità è prevista in italiano, come è normale che sia.  Dal Devoto Oli è presentata come un “atteggiamento diretto ad affermare l’autonomia del singolo”. Meglio ancora lo Zingarelli parla in proposito di una “dottrina che riconosce all’individualità un valore autonomo irriducibile all’ordine naturale, politico e morale di cui fa parte”. C’è insomma un individualismo che caratterizza persone dotate di un loro autonomo profilo anche sul piano morale. Siamo lontani dall’egoismo dell’agire per sé evocato nell’altro caso.
La novità degli ultimi decenni in Occidente sembra essere questa. L’individualismo come cieco attaccamento all’interesse personale prevale su quello che trae la sua ragion d’essere dall’autonomia del singolo.Qualcosa è cambiato, dunque. Solo per un tempo molto breve l’individualismo era apparso come una tendenza negativa. Questo era accaduto al tempo in cui la parola stessa era apparsa, negli anni Venti e Trenta dell’Ottocento. La svalutazione dell’individualismo era venuta all’inizio dagli avversari, da ambienti che avevano altri valori di riferimento: il rispetto dell’autorità,  l’appartenenza sociale, l’eguaglianza dei diritti. E coloro che in un primo tempo erano accusati di essere individualisti o di comportarsi da individualisti non erano consapevoli di aver compiuto una scelta di questo tipo. Insomma la parola era nata per rinfacciare ad altri un difetto, era nata come imputazione. Essa acquistò poi un diverso significato quando fu rivendicata come una qualità, che era bello e giusto possedere. Qui i valori di riferimento non erano più gli stessi: la coscienza del singolo come fattore centrale era tra questi. E non erano gli stessi neppure i presupposti, primo fra tutti la fiducia nella creatività, nella intelligenza e nel senso morale dell’individuo. La valenza negativa all’inizio riguardava un atteggiamento attribuito ad altri. Quella positiva invece nasceva dalla volontà di promuovere una concezione capace di valorizzare il ruolo del singolo. Questo non vuol dire che l’individualismo fosse sempre un atteggiamento diffuso nella realtà con gli aspetti positivi suggeriti dai suoi fautori.  
C’è infine un terzo tempo nella vicenda. Dopo la metà degli anni Settanta soprattutto la parola individualismo viene usata di nuovo. Si assiste però a una divaricazione. Mentre tra gli studiosi la parola mantiene spesso una connotazione positiva, nella società essa designa molto spesso ormai un modo egoistico di essere e di agire. La vita ha seguito strade che non erano quelle delineate in genere dalla storia delle idee. In una fase precedente della sua vicenda l’individualismo aveva assunto in teoria e in pratica una configurazione che era dotata di un profilo morale e teneva conto del rapporto con gli altri. Al di là delle dispute un dato permanente era l’affermazione di una individualità matura, capace di trovare negli altri degli interlocutori disponibili e necessari. Da ultimo quel mondo sembra essere svanito. L’individualismo che negli ultimi decenni si è trovato a dominare la scena dal punto di vista pratico ha rappresentato una vittoria del privato sul pubblico, del calcolo miope sulla visione strategica, della sbadataggine sulla cortesia. E’ stato oggetto di analisi feroci da parte di sociologi fedeli alla tradizione critica della loro disciplina. La speranza in un futuro diverso si è manifestata anche per questa via, anche se i toni delle requisitorie sono stati spesso apocalittici.
Nei ragionamenti sul futuro possono riemergere le propensioni ideali di ognuno. Chi pensa che si debba dare meno importanza all’individuo vedrà la via d’uscita in un ritorno dello spirito comunitario. Forse però l’individualismo stesso non ha ancora detto la sua ultima parola. Questo almeno è un insegnamento che possiamo ricavare dalla storia. Non c’è un individualismo solo. Il trionfo apparente della tendenza all’affermazione del singolo è stato accompagnato da una caduta verticale nello sviluppo dell’individualità. Nel mutamento storico le figure esemplari hanno spesso avuto un ruolo decisivo. Sono rare nei vari campi della cultura, della scienza e della politica al momento le individualità coraggiose capaci di offrire una risposta innovativa alle sfide del nostro tempo, ma una facile previsione conduce a pensare che senza il loro contributo la via d’uscita dall’attuale crisi di prospettive rischia di restare bloccata ancora a lungo. 

Giovanni Carpinelli


[1] S. Lukes, Individualism, Harper & Row, New York 1973, pp. 1-42 Il fatto che la parola comportasse una molteplicità poco chiara di significati era già stato notato da Max Weber (L’etica protestante) e trova conferma in A. Lalande , Dizionario critico di filosofia, Isedi, Milano 1971,  p. 408: “Termine pericoloso, molto equivoco, il cui uso dà luogo continuamente a dei sofismi.”  
[2] L’individualisme et les intellectuels, “Revue bleue”, 4e série, t. X, 1898, pp. 7-13.
[3] F. A. von Hayek,  Individualismo: quello vero e quello falso, Rubbettino, Soveria Mannelli 1997 [1946].
[4] A. Millefiorini, Individualismo e societa di massa : dal 19. secolo agli inizi del 21., Carocci, Roma :2005, 222 p.
[5] Cfr. in particolare N. Matteucci, Presentazione, in A. Laurent, Storia dell’individualismo, il Mulino, Bologna 1994, passim.
[6] La distinzione è formulata da J. Dewey, Ethics, in John Dewey, the Middle Works, vol.14, Southern Illinois University Press, Carbonale & Edwardsville 1983 (1932). Corrisponde ai significati C e E in A. Lalande, Dizionario, cit., p. 408: da una parte (C) “indipendenza di spirito”, dall’altra (E) “tendenza ad affrancarsi da ogni obbligo di di solidarietà e a non pensare che a sé”.

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