domenica 24 febbraio 2013

Che brutta riscoperta: gli Apoti

 Qui tra chi lavora a ilfattoquotidiano.it si vota, in diverse percentuali, un po’ di tutto: Movimento 5 Stelle, Monti, Pd, Rivoluzione Civile, Sel, Radicali e, nonostante il notevole exploit del principe dei ballisti Oscar Giannino (principe, perché il re resta sempre lui, san Silvio Primo da Arcore), persino i liberisti acciaccati di Fermare il declino. Qualcuno poi si astiene o teorizza un vecchio classico: scheda bianca con fettina di salame inclusa. Ma, comunque voti la redazione fa idealmente parte della Società degli Apoti, la congregazione di prezzoliniana memoria di coloro i quali non se la bevono. Sappiamo tutti che, dopo lunedì, quasi nessuna tra le mirabolanti promesse elettorali in materia di riduzione di tasse o aumento dell’occupazione verrà mantenuta.

Peter Gomez, Elezioni 2013. Come votano gli apoti, Il Fatto quotidiano, 23 febbraio 2013
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 Quando Giuseppe Prezzolini propone, di fronte al fascismo come di fronte al bolscevismo, la “Società degli Apoti”, di “coloro che non le bevono”, che si tengono fuori della mischia, Gobetti reagisce con energia, puntualmente. Prima ribadisce il senso della cultura come azione, come “elemento della vita politica”, poi affronta la più delicata questione di merito: la natura del fascismo e la necessità di una “opposizione intransigente”.
19 Giugno 2001
da Democrazia Repubblicana (http://www.democraziarepubblicana.org)

Caro Prezzolini,
    Un quadro dell'attività presente che mirasse a definire la nostra "Società degli Apoti" e ne chiarisse i limiti e l'azione sarebbe certo molto utile e io spero che tu stesso ci voglia tornare su e tracciarne un poco, mentre si fa, la storia.
    Nessuno può riescire meglio di te che sei stato da quasi vent'anni l'infaticabile direttore e amministratone dell'idealismo militante in Italia. Nella valutazione poi del significato politico che ebbe la nostra cultura negli ultimi anni siamo sostanzialmente d'accordo: nessun dubbio che il partito popolare, p. es. abbia ripreso gran parte del problemismo unitario e tutto ciò che di sano si nascondeva nel movimento modernista, che Einaudi e la Riforma sociale abbiano alimentato le tradizioni liberali meglio di una organizzazione di partito, che La Voce abbia fatto almeno tanto bene quanto il movimento socialista.
    Noi siamo più elaboratori di idee che condottieri di uomini, più alimentatori della lotta politica che realizzatori: e tuttavia già la nostra cultura, come tale, è azione, è un elemento della vita politica.
    Senonché anche in questo compito di chiarificazione ideale, io non so se il nostro criticismo operoso ci consentirà un'unità obbiettiva e un'indifferenza, per così dire scientifica di lavoro. La Rivoluzione Liberale p. es. non sarebbe oltre che un organo tecnico di cultura e di libera discussione storica, un punto fermo di ricerca o di giudizio? Ecco il punto in cui lo so che non tutti siamo concordi. Pure se ripenso agli esempi più recenti, da Marx a Sorel, mi pare che tutti gli sforzi più originali di pensiero si siano accompagnati con un'intransigente elaborazione di miti d'azione e con una tragica profezia rivoluzionaria. [...]
La discussione, organicamente condotta, è venuta prevalendo sullo sviluppo del programma. Ne avremo frutti più vigorosi ma non sarà dannoso ricordare il punto di partenza.

p. g.

E si veda anche David Bidussa, Il disprezzo per la democrazia  http://www.centrogobetti.it/PDF/Rassegna%20stampa%20Gobetti/2008/disprezzo.pdf

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