sabato 2 febbraio 2013

Gramsci: manca un pezzo?

 “Togliatti e Sraffa nascosero il Quaderno mancante”
Franco Lo Piparo: nuovi dettagli sul caso del taccuino che avrebbe imbarazzato il Pci Il “Migliore” e il grande economista avrebbero sottratto il documento alla cognata del filosofo

 Simonetta Fiori

 Per Franco Lo Piparo, lo studioso lanciato sulle tracce di Gramsci, non vi sono più dubbi. È esistito un quaderno di 26 pagine, targhetta XXXII, poi scomparso. Bisognerebbe cercarlo tra le carte di Togliatti e Sraffa. Il suo contenuto? Non è dato saperlo. Forse riportava feroci critiche all’ex amico, forse l’abiura al comunismo tout court.
L’unica cosa certa, si trattava di un materiale scottante, «di difficile digestione per una mente comunista di quegli anni». Bisognava tenerlo nascosto. Lontano dal Comintern. Secretato anche per i compagni italiani. Ne andava di mezzo il destino del partito. Ma il taccuino è esistito eccome, ribadisce Lo Piparo alla fine di una sua nuova investigazione sugli originali dei manoscritti gramsciani, confrontati con una riproduzione fotografica realizzata negli anni Quaranta e fin qui sconosciuta.
L’enigma del quaderno (pagg. 162, euro 18) è il titolo del suo nuovo saggio in uscita da Donzelli, ultima puntata di una spy-story che non accenna a chiudersi. Le critiche piovute sul suo precedente Gramsci e i due carceri, peraltro insignito del Viareggio, non sembrano averlo scoraggiato. Sono stato sbeffeggiato, dice l’autore, ma non importa, io vado avanti. E vi dimostrerò che ho ragione.
Davvero è in grado di dimostrarlo? Il libro esce ancor prima degli esiti definitivi della commissione promossa dall’Istituto Gramsci per far luce sul quaderno scomparso. Quasi volesse giocare d’anticipo, nell’eccitata contesa che divide la cittadella gramsciana. Per Lo Piparo — affiancato nell’impresa da Luciano Canfora — è tutto chiaro. I quaderni di contenuto storico-teorico-politico sono trenta e non ventinove, come invece risulta dalle diverse edizioni, e qualche mano abile ha sottratto un taccuino.
Il colpevole? La regia è attribuita a Togliatti — astutissimo stratega della pubblicazione dell’opera — ma il responsabile materiale del furto viene individuato nel suo complice Piero Sraffa, l’insigne economista citato da Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche.
Secondo la ricostruzione di Lo Piparo, fu Sraffa a ingannare la povera Tania Schucht, la cognata incaricata dallo stesso Gramsci di porre in salvo i manoscritti, destinandoli non ai compagni italiani ma alla moglie Giulia. Il trappolone scatta tra il 30 giugno e il 1 luglio del 1937 (Gramsci è morto in aprile). Il “compagno Piero” viene a Roma e chiede a Tania di portargli a casa tre dei quaderni che la donna andava affannosamente catalogando. Di questi tre taccuini, nessuno è restituito a Tania. Due però raggiungeranno gli altri quaderni intanto volati a Mosca (La filosofia di Benedetto Croce
e Niccolò Machiavelli).
Il terzo, invece, rimarrà nello scrigno segreto di Togliatti. Per sempre condannato all’oblio.
Perché proprio Sraffa nel ruolo del trafugatore? L’economista è persona informata dei fatti. Conosce i contenuti di quel taccuino, presumibilmente annotato durante il ricovero nella clinica Quisisana, tra l’agosto del 1935 e il 27 aprile del 1937. Il suo amico Antonio deve avergli detto qualcosa. Fu durante una di quelle conversazioni che Gramsci demolì la pratica dell’autoaccusa su cui si reggevano i processi staliniani. «Diceva che la confessione è un principio giuridico del Medioevo », riferirà Sraffa ad Alfonso Leonetti. Sraffa sa che quel quaderno è troppo pericoloso. Non può finire nelle mani sbagliate. È necessario sottrarlo alla ignara Tania.
Fin qui il suggestivo racconto di Lo Piparo, non privo di un suo fascino romanzesco. Ventisei pagine finora segrete in cui Gramsci distrugge le fondamenta del comunismo sovietico: una golosità per il lettore democratico di oggi. Ma come dimostrarlo? Con commovente acribia l’indagine porta alla luce tutta una serie di incongruenze nella catalogazione. Fa notare che su un quaderno privo dell’etichetta vergata da Tania ne è stata aggiunta un’altra, che lo studioso attribuisce “probabilmente” a Valentino Gerratana (targhetta XXXIII). Insiste sulla bizzarra circostanza che sotto un’etichetta che indica il numero XXIX ne figura un’altra con il numero XXXII. Passa in esame tutte le curiose discrepanze tra gli originali russi e le traduzioni italiane “ufficiali” (qui il bersaglio è soprattutto Giuseppe Vacca, accusato di aver tradotto un’indicazione precisa di Tania — «Sono in tutto XXX pezzi» — nell’espressione più vaga: «I quaderni saranno una trentina»). Richiama l’attenzione su un secondo quaderno dove Tania avrebbe continuato ad annotare l’indice dei Quaderni, anche questo scomparso. Si dà da fare, Lo Piparo, nell’ina nellare una serie di sparizioni, pagine strappate, singolari contraddizioni. Ma quest’affastellamento di indizi, frutto di una dedizione stupefacente, stenta a tradursi in prova filologica convincente.
Per andare avanti, il racconto necessita di quella che lo studioso definisce “phantasia logiké”, «immaginazione sorretta da argomentazioni a loro volta ancorate a fatti reali». Un esercizio anche legittimo, che però è cosa diversa dalla ricostruzione storica, su fonti certe e non su congetture. Seguendo gli stessi indizi, si può approdare a risultati opposti. Ne è chiara dimostrazione proprio l’editore di Lo Piparo, Carmine Donzelli, antico cultore di Gramsci: in una sua recente pubblicazione fa morire il prigioniero da leninista duro e puro, e non da liberademocratico, come in fondo vorrebbe Lo Piparo. Senza poi trascurare il curioso effetto di straniamento che l’esercizio indiziario può produrre nel lettore. Prendiamo la lettera scritta da Tania a Sraffa il 7 luglio del ‘37, poco dopo il presunto “furto”. «Ieri ho consegnato i quaderni (tutti quanti): ed anche il catalogo che avevo iniziato», annota meticolosamente la cognata di Gramsci. Secondo lo studioso, l’inciso parentetico — (tutti quanti)— sarebbe un segnale di disappunto e sta a significare: ho eseguito l’ordine, non ho trattenuto nessun quaderno e, naturalmente, non ho potuto consegnare quelli che ti sei preso. Interpretazione abbastanza lunare, ma forse la “phantasia logiké” è un’arte che non ammette confini.
L’immaginazione galoppa anche sul versante delle etichette. Delusa e ferita da Sraffa, Tania avrebbe escogitato uno stratagemma da agente segreto — e Lo Piparo lascia intendere che ne conoscesse bene l’arte — per far capire a Giulia (la moglie destinataria degli scritti) che esistevano altri tre quaderni (quelli rubati da Sraffa). Cosa inventa Tania? Prende le etichette destinate ai tre quaderni rubati, già scritte ma non ancora incollate sui libri portati a casa di Piero, e decide di utilizzarle comunque incollandole sugli ultimi tre quaderni che erano ancora senza etichetta. Poi sulle etichette “false” incolla quelle vere, con il numero delle pagine e con le descrizioni dei quaderni. Da qui Lo Piparo non esita a individuare in quel numero XXXII nascosto sotto l’etichetta XXIX l’inequivocabile cifra del quaderno mancante.
A fare le spese di questa nuova ricostruzione è principalmente Sraffa, ritratto con un profilo bifronte: da una parte astuto agente del Comintern (che però nasconde al Comintern la natura esplosiva dei Quaderni); dall’altra figlio d’una influente famiglia ben inserita nei gangli del potere fascista, che si adopera in mille modi per la scarcerazione del prigioniero. Un’immagine poco limpida, che sembra riacquistare l’antica luce solo quando Lo Piparo ritorna sul terreno che più padroneggia — la linguistica — e accenna agli interessantissimi intrecci tra le conversazioni con Gramsci e le conversazioni con Wittgenstein, di cui rinviene traccia negli ultimi scritti del filosofo austriaco. Ma è solo una parentesi purtroppo, subito chiusa perché estranea all’indagine in corso. Che – promette (o minaccia) l’autore – non mancherà di darci presto nuove sorprese.

la Repubblica,
2 febbraio 2013

Il libro di cui si parla è  “L’enigma del quaderno” di Franco Lo Piparo (Donzelli, pagg. 128, euro 18).
Per l'opinione di Vacca in proposito si può consultare  http://spogli.blogspot.it/:
Repubblica 2.2.13
La replica di Vacca “Un’ipotesi che sembra inverosimile”
di S. F.

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