venerdì 15 febbraio 2013

Se la politica sapesse comunicare…













Manifesto realizzato da Reeves per Eisenhower nel 1952: è uno dei primi esempi di collaborazione organica di un pubblicitario ad una campagna elettorale.


 Parliamo di Berlusconi,  Bersani, Monti, Grillo... Ma non vi preoccupate, non ho intenzione di propinarvi un saggio politologico… Vorrei invece riflettere sui due differenti approcci comunicativi che i nostri eroi portano avanti, lasciando però a chi mi legge il compito di trarre le proprie conclusioni.

Da vent’anni a questa parte (dalla famosa “discesa in campo”) stiamo assistendo ad un evidente impoverimento della comunicazione politica, sia in termini di forma sia  - ahimè - di contenuti. Lasciamo da parte per un attimo i contenuti e concentriamoci sulla forma.

In un mio post precedente sostenevo le ragioni di una comunicazione “leggera” contro quella “pesante”. Ma è questo il fenomeno a cui stiamo assistendo? La comunicazione politica attuale si può definire leggera, o forse, semplicemente è superficiale  nel senso deteriore del termine (dico deteriore perché filosofi come Nietzsche rivalutano il valore delle sensazioni di “superficie”)? Nel mio post di cui sopra sostenevo che una comunicazione “leggera” aiutasse a stabilire un contatto, dovesse essere finalizzata a  stimolare una risposta. Mi domando e - se permettete - VI domando se  (disgusto o ilarità a parte) il modo in cui i nostri politici si rivolgono a noi suscita un qualche tipo di reazione. In altre parole: ci sentiamo spinti ad agire? Temo di no. Allora la questione non sta nel fatto se si possa parlare o meno di comunicazione leggera, ma di comunicazione efficace. E soprattutto se “comunicare” significa  “mettere in comune, legare, costruire” e “politica” significa “comunità” (dal greco  “polis”, città intesa come comunità di cittadini), ne deriva che la comunicazione politica dovrebbe essere un processo finalizzato a costruire o a rafforzare quell’insieme di valori su cui si fonda una comunità. Altrimenti non funziona.

Per portare avanti il mio ragionamento mi baso su due presupposti. Primo: come sostiene lo psicologo Paul Watzlawick  “non si può non comunicare”: anche il rifiuto alla comunicazione è una forma di comunicazione. Come pure lo è una “cattiva comunicazione”, quella cioè che ottiene un risultato differente da quello previsto; secondo: la comunicazione politica, almeno dagli anni Quaranta, ha adottato gli strumenti e le tecniche propri della pubblicità.

Partiamo da questo secondo aspetto. Innanzitutto è necessario sottolineare che la pubblicità è una forma particolare di comunicazione che mira a cambiare l’atteggiamento del pubblico, è in pratica una forma di “persuasione”. Secondo Rosser Reeves (teorizzatore dell’Unique selling proposition - USP - più o meno “argomentazione esclusiva di vendita”),  ogni messaggio pubblicitario per essere ritenuto efficace deve soddisfare tre condizioni: 1) deve proporre un beneficio per il consumatore (o elettore); 2) il beneficio deve essere esclusivo (nel senso che gli altri concorrenti non siano in grado di offrirne uno analogo); 3) il beneficio deve essere così accattivante da spingere il pubblico all’acquisto (o al voto).


E già qui ci sarebbe materiale sufficiente di discussione per riempire 100 cartelle… Mi limiterò a dire che non mi pare proprio che nell’attuale campagna elettorale si possano trovare molti soggetti (Berlusconi e Grillo a parte) in grado di soddisfare le condizioni di cui sopra: programmi in genere poco chiari, sostanzialmente poco differenziabili l’uno dall’altro e sicuramente non abbastanza forti da spostare le intenzioni di voto o di spingere al voto. Ma - e qui mi rifaccio alla massima di Watzlawick - anche una pessima forma di comunicazione è comunicazione. Infatti il risultato  di queste campagne elettorali malamente condotte è quello di spingere le persone o verso l’astensione o verso il cosiddetto “voto di protesta”: non è certo un caso se il Movimento Cinque Stelle sta riscuotendo tanto successo. 

A mio avviso infatti è l’unica realtà politica che - ancora Berlusconi a parte (che “meno tasse per tutti”)- ha una unica e chiara “proposta di vendita”: cambiare il sistema politico. Anche il “tono” della campagna grillina contribuisce a raggiungere il risultato: il fatto di andare in mezzo alla gente e parlare con le persone - e farlo con “leggerezza”, nel senso di usare codici linguistici e comportamentali tali da non creare una distanza percepibile tra il leader e gli altri -  provoca coinvolgimento emotivo. E secondo il modello AIDA (lo schema Attenzione-Interesse-Desiderio-Azione  sul quale si basa l’azione pubblicitaria), è proprio il coinvolgimentio emotivo che spinge all’azione, in questo caso al voto. E, come detto, l’ex comico genovese - a cui va riconosciuta l’intelligenza di essersi affidato a chi di comunicazione ne sa veramente - beneficia proprio dell’incompetenza comunicazionale degli altri soggetti politici (ovviamente sempre escludendo Berlusconi)…

La sensazione sempre più consolidata è che la politica  “tradizionale” sia un mondo a parte, con propri codici linguistici e quel che è peggio con una propria rappresentazione della realtà, molto differente da quella della gente comune. Non è certo un caso se libri come “La Casta” hanno avuto tanto successo: il loro merito non è solo quello di portare alla luce le magagne del sistema ma di dare un nome e una definizione a quell’universo che il cittadino comune e la “casalinga di Voghera” sentono come altro da sé. Certo Vendola in passato è stato uno che del parlare al cuore delle persone ha fatto la sua carta vincente: ma il suo progressivo avvicinarsi al PD ha comportato anche l’abbandono di quello stile comunicativo che tanta parte ha avuto nel fargli vincere le elezioni regionali pugliesi per ben due volte.

E se una buona volta questi politici si decidessero a scendere dalla loro torre d’avorio? Forse finalmente comprenderebbero quello che i pubblicitari hanno capito da tempo: la pubblicità da sola non fa vendere! Non basta adottare qualche tecnica o qualche trucchetto, non esistono scorciatoie: o il tuo prodotto è buono e lo sai “vendere bene” o il mercato difficilmente ti premierà. 

Come uscire da questa situazione? Ecco l’uovo di Colombo: applicare il modello Grillo. Attenzione: dicendo questo non voglio dire che Casini debba mettersi a sbraitare come una pescivendola o  Bersani debba presentarsi in mezzo alla folla in maniche di camicia  o che Monti debba adottare un cane (purtroppo gli ultimi due non sono ipotetici paradossi: l’hanno fatto davvero e i risultati sono stati a dir poco comici). Quello che voglio dire è che basterebbe applicare un po’ di sano buon senso: scendere VERAMENTE in mezzo alla gente, capirne davvero istanze e problemi e, soprattutto, adottare un linguaggio realmente leggero, in grado di parlare al cuore delle persone. Adesso a voi lettori (ed elettori) la parola.

4 commenti:

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  2. Anna Silvestro ha scritto commentando: "mah... sarà ma il metodo Grillo non mi convince per niente non basta prendere i voti bisogna poi governare". Insomma quanto ai contenuti programmatici, Grillo ci ha abituati a molte stranezze. Tra il rigetto (della classe politica attuale) e il progetto (delle cose da fare) c'è una distanza che non sempre viene colmata in modo soddisfacente. Anche Renzi sapeva e sa parlare in modo più immediato a tutta una serie di persone, mentre ne irritava altre (come può accadere: il piacione Rutelli alla fine piace solo a se stesso, o quasi).
    Forse è meglio distinguere la capacità di parlare al cuore delle persone (problema affrontato da Lakoff in Political Mind, e che trova una sua soluzione anche in Obama, tanto per dire), ossia quel modo di presentarsi come tipo convincente e credibile, dal bisogno di avere un solido quadro di riferimento ideale. Notava ultimamente Yehoshua quante meteore ci sono state nella politica israeliana. Tutti tipi credibili che non hanno tenuto molto a lungo perché mancavano di un retroterra culturale, di un inquadramento politico vero: "Un partito, per poter essere ben strutturato e mettere profonde radici nella realtà israeliana, non deve avere solo un programma politico ma anche una base ideologica. E anche il nuovo partito di Yair Lapid, malgrado la simpatia che provo nei suoi confronti, rivela la debolezza tipica della sinistra laica israeliana, armata di buone intenzioni ma priva di quella stabilità ideologica in grado di garantire una sua duratura presenza politica. Di conseguenza un suo sgretolamento e una sua frantumazione sono sempre in agguato"(articolo del 30 gennaio sulle elezioni israeliane, La Stampa). Insomma la comunicazione non è il toccasana. Se Monti non ce la fa tanto a passare non è solo perché non sa parlare alla casalinga di Voghera, è anche perché vuol piazzare un prodotto non tanto buono.
    Chissà poi se Vendola ha cambiato stile da quando si è messo con il Pd. Vendola per sua fortuna è un politico; e fino a prova contararia questo per uno che governa una regione e aspira ad avere un ruolo nel governo del paese non è un difetto. Bisognerebbe trovare un prodotto più attraente da piazzare e associarlo prima possibile a un politico capace di decidere oltre che di comunicare. E con questo sono tornato all'obiezione di Anna Silvestro.

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  3. Caro Giovanni Carpinelli, hai perfettamente ragione. Del resto il marketing si basa su 4 leve, le 4P: Prodotto, Promozione, Prezzo, Punto Vendita - Place. L'articolo evidenzia solo le prime 2P, mentre appunto occorrerebbe occuparsi anche del "Punto Vendita", il Partito, rendendolo funzionale al "consumatore". Mitterand, ad esempio, riformò il Partito Socialista prima di dare la scalata all'Eliseo.
    Tonino Costantino

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    1. Constato con piacere che la discussione attorno al mio post è andata al di là delle mie aspettative. Occupandomi di comunicazione, il mio pezzo era finalizzato all'analisi della FORMA DEL COMUNICARE: come dicono i pubblicitari, la questione non è se uno spot "piace o non piace", ma se "funziona l non funziona". Lascio ad altri il compito di riflettere sui contenuti. In veste di "lavoratrice della comunicazione", il contenuti mi interessa solo in quanto forma, e non di per sé. Se poi volete che esprima il mio parere sui contenuti lo farò volentieri. Ma questa è un'altra storia.

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