martedì 25 giugno 2013

Palmiro e Nilde, un amore dolce e terribile

Simonetta Fiori 
a  proposito di
Luisa Lama, Nilde Iotti. Una storia politica al femminile, Donzelli, Roma 2013
la Repubblica, 23 giugno 2013

La voce di Togliatti è contenuta in uno scrigno intarsiato, di quelli antichi dell’artigianato sorrentino. Non solo la sua voce, ma anche la sua emotività, la scoperta di sé, il tempestoso viaggio interiore di un uomo passato alla storia per la glaciale razionalità. Il mitico totus politicus alle prese con un sentimento terrorizzante quale l’amore. Quando credevamo di saper tutto di quella storia sentimentale, già consegnata ai polverosi annali del comunismo, affiorano quaranta lettere scambiate tra Palmiro e Nilde al principio della relazione. Il racconto del primo anno di segreta passione, dall’incontro a Montecitorio nell’estate del 1946 fino alla convivenza nell’abbaino di Botteghe Oscure. Una vicenda che intreccia clandestinità, ostilità del partito e nascita dell’Italia repubblicana.
Amore e politica, per la prima volta parla Palmiro. E alla testimonianza di Nilde, arricchita negli anni con riserbo, si affianca quella del compagno. La loro storia sentimentale — gli affanni, il gioco e le gelosie, il lento scivolare l’uno nel bisogno dell’altro — ci viene raccontata anche da lui, il gran capo del comunismo italiano, allora ancora legato alla moglie Rita Montagnana. Una confessione a tratti sorprendente che si può leggere nella nuova e bellissima biografia Nilde Iotti. Una storia politica al femminile scritta da Luisa Lama, che ha avuto accesso al carteggio inedito ritrovato da Marisa Malagoli Togliatti, figlia adottiva della coppia.
Tutto cominciò da una «piccola carezza » azzardata sui capelli di Nilde, lungo lo scalone di Montecitorio. È il 30 luglio del 1946, da due settimane fervono a Roma i lavori per la nuova Carta Costituzionale. Ma nel retrobottega della grande Storia sta maturando la storia più minuta tra il mitico segretario comunista e la giovane deputata di Reggio Emilia. Li separano ventisette anni — 53 lui, 26 lei — e una gran quantità di cose: radici famigliari, formazione, status ed esperienza. Però lei è brillante, colta, di naturale eleganza. Chiacchierano di tutto, Ariosto, Boiardo e naturalmente politica. «Sei come una striscia di sole in una stanza buia», la corteggia lui in una delle prime lettere. Il tono è lieve, quasi allegro. Ma presto subentra il «sentimento di vertigine, come davanti all’abisso». Uno sperdimento che lo abbaglia, Palmiro se ne ritrae piacevolmente spaventato. Non aveva mai provato quell’«impulso più forte della sua volontà», e teme di perderne il controllo. Da Parigi — dove è volato in agosto per parlare con Molotov del confine jugoslavo — arrivano i primi segni di resa. «Ho abbandonato me stesso a te come mai avrei pensato». E ancora: «Nec tecum vivere possum nec sine te». Né con te né senza di te. Pagine di block notes e fogli dell’Assemblea Costituente vanno riempendosi di parole d’amore, scritte a matita o a penna, mai con il leggendario inchiostro verde usato per il partito. «Nina mia». «Non posso più vivere così». No, questa è davvero un’altra storia.
L’aria è particolarmente frizzante, in parlamento e nel Paese. Si costruisce una nuova Italia, e i vecchi capi comunisti — quelli che avevano subito le vessazioni del fascismo e temuto le purghe staliniane — cominciano ad assaporare il gusto della libertà, anche il piacere delle comodità borghesi. Non c’è più spazio mentale per le antiche compagne, quelle di taglia forte e scarpa 41, che gli erano state accanto nelle tante battaglie della clandestinità. Succede a Togliatti, ma anche a Longo e Terracini. E nell’estate del 1946 i rapporti tra Palmiro e la moglie sono incrinati da tempo, sin dagli anni del Comintern trascorsi a Mosca. Li divide anche la grave condizione fisica e psichica del figlio Aldo, che il padre fatica ad accettare. È in questa «situazione intollerabile», come lui dice, che arriva il sorriso di Nilde.

Il nuovo amore costringe Palmiro a un viaggio dentro di sé, lo stesso che lo porterà a sfidare il partito e perfino il Cremlino. È tempo di bilanci affettivi, che non lo soddisfano. Fino a quel momento è stato un uomo in fuga dalle emozioni, «non sai tu quante immagini di donne ho respinto dal mio cuore». Addirittura una volta, pur di resistere alla seduzione femminile, aveva rischiato di morire per gli alti sentieri di montagna. Lui, il gran capo temuto e adorato, che scappa davanti a un’amica richiedente. Sempre a Parigi rivede Carmen, la comunista spagnola che dieci anni prima l’aveva amato nelle traversie della Guerra civile. Improvvidamente, rievocando l’antico sodalizio, vi fa cenno in una lettera per Nilde: «È commovente come una donna possa amare senza chiedere nulla». Poi ne straccia platealmente l’indirizzo, ma Nilde non è un’amante gretta né sprovveduta: «Ho pensato con un po’ di compassione a quella donna che certo ti ha amato. Quando non amerai più me, ti prego, non cancellarmi così».

È una storia d’amore «dolce e terribile », quella tra il segretario e la giovane parlamentare. Incontri furtivi, strette di mano in pubblico. Ma in novembre la stampa satirica comincia a bersagliarli, ritraendoli sul divanetto di Montecitorio in pose ridicole. A Botteghe Oscure i pettegolezzi si caricano di tinte velenose. E certo non resta a guardare la “marquisa” Montagnana. Alla Camera Nilde ne incrocia lo sguardo «duro, pieno di rancore e odio, appena filtrato dalle palpebre socchiuse ». Ma il nemico più temibile è il partito, un’entità entusiasmante e crudele che per mille motivi non accetta questo amore irregolare. In un momentodi malinconia Togliatti arriva a evocare «il povero Gramsci, anch’egli ha amato e voluto essere amato, e ha cercato tramite l’amore di essere compreso ». Chissà quante volte in passato la fragilità emotiva di Nino l’aveva indispettito. Ora no, perfino l’antico amico- avversario gli appare sentimentalmentevicino. Nel febbraio del 1947, una pausa inaspettata rallenta l’intensità del carteggio. Palmiro non risponde alle lettere, e Nilde scopre che è a casa ammalato, per giunta accudito dalla legittima moglie. «Sono certa che tu guariresti prima se potessi curarti io», incalza Nilde con modi quasi infantili. Sembra disposta a tutto, perfino a chiedere notizie all’autista-custode Armandino, che non le mostra grande simpatia. «Solo allora ho rinunciato a venire a casa tua», scrive a Palmiro in toni sommessamente minacciosi. In una lettera successiva accenna anche a un desiderio di maternità, «a volte vorrei davvero che qualche cosa di te restasse in me, forse allora capiresti ciò che sei per me». Dopo qualche anno quel figlio desiderato sarebbe stato concepito, ma il triste epilogo resta avvolto nel mistero.
In quegli stessi mesi, in parlamento, le sinistre combattono per una famiglia moderna, fondata sull’eguaglianza tra coniugi e sulla parità legale dei figli, nati dentro e fuori del matrimonio. Fortificata dalla sua stessa esperienza privata, Nilde resterà sul fronte a difendere i nuovi diritti. E il divorzio? No, su quel terreno non può battersi. C’è il rischio di una rottura con i cattolici, e Togliatti preferisce lasciar cadere. Ma nel privato — come già Longo e Terracini— prova a ricorrere alla “Sacra Rota Comunista”. Nel dicembre del 1953 fa domanda per risiedere almeno un anno a San Marino, dove il divorzio è cosa lecita. Ma sarà costretto a rinunciarvi, scoraggiato dal clamore mediatico che colpisce Longo. Sono i paradossi della doppia morale.
Nell’album della famiglia comunista, Nilde dovrà aspettare ancora molti anni prima di trovare ufficialmente posto accanto a Palmiro. Accadde nell’agosto del 1964. Ai funerali di Togliatti le viene concesso un ruolo d’onore, prima fila dietro il feretro. Se come sposa era rimasta invisibile, in qualità di vedova poteva ottenere l’agognato riconoscimento. La coppia, finalmente, non c’era più. La morale del partito salva per sempre.

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