venerdì 24 gennaio 2014

Riccardo Barenghi su Vendola

Riccardo Barenghi
La strada molto stretta di Vendola
La Stampa, 24 gennaio 2014

Il partito di Vendola, nato 5 anni fa, oggi celebra il suo secondo congresso ma non vede un futuro roseo. Un partito reduce dal risultato delle elezioni politiche, un misero 3,2%, e dalla sconfitta della coalizione con il Pd di Bersani.
Una coalizione di centro-sinistra che non è riuscita a formare quel governo di cambiamento sul quale aveva puntato tutte le sue carte il leader di Sel. Inoltre, la nascita delle larghe intese assieme all’avversario storico Berlusconi, l’uscita di scena dello stesso Bersani, l’arrivo di Renzi che non è certamente in sintonia con le istanze della sinistra radicale, la legge elettorale che prevede una soglia troppo alta per sperare di entrare in Parlamento... Un quadro nefasto.
Sel ha poche strade davanti a sé per tentare di rimanere in vita. La prima, quella più lineare, sarà probabilmente enunciata oggi da Vendola. Si tratta di combattere in Parlamento affinché la soglia della nuova legge elettorale venga abbassata al 4 per cento per chi si presenta in coalizione (oggi è prevista al 5, tetto proibitivo per Sel stimata tra il 2 e il 3 per cento). Solo così si potrebbe tentare di nuovo l’avventura di un’alleanza con il Pd. Ma non è affatto detto che le pressioni di Sel riescano a modificare l’impianto blindato da Renzi e Berlusconi. Così come non è detto che, se anche ci riuscissero, sarebbe facile ottenere il 4 per cento dei voti. Il segretario del Pd domani sarà al congresso, si spera in una sua parola di rassicurazione...
Le altre strade ci sono ma non si dicono, almeno ufficialmente. Una è l’entrata nel Pd per creare una corrente di sinistra composta anche dagli attuali oppositori di Renzi: Cuperlo, Fassina (e Bersani e D’Alema). Strada più che impervia soprattutto perché significherebbe sancire definitivamente il fallimento politico di un progetto che pure qualche speranza aveva suscitato fino a qualche anno fa, quando i sondaggi attribuivano a Sel il 7-8 per cento dei consensi. Perché si sono perduti quei consensi è una domanda alla quale sarebbe riduttivo rispondere dando tutte le colpe a Bersani (che pure non ne è esente).
Oppure (esclusa l’ipotesi che la sinistra del Pd esca dal partito per entrare in Sel), ci sarebbe sempre il richiamo della foresta. Una scelta movimentista, magari benedetta da Fausto Bertinotti, Barbara Spinelli e Marco  Revelli, che potrebbe rimettere insieme i pezzi sparsi della sinistra radicale italiana: Sel, Rifondazione, i Verdi, Ingroia, addirittura Diliberto. Una prospettiva che Vendola vede come fumo negli occhi ma se in gioco ci fosse la sopravvivenza...
In ogni caso il primo banco di prova per Sel saranno le europee di maggio, dove potrà misurare la sua forza reale. E qui c’è un’altra battaglia preventiva da fare, cercare di abbassare quella soglia del 4 per cento che rende improbabile un arrivo a Bruxelles (non a caso il segretario di Rifondazione Ferrero sta pensando di candidarsi in Grecia). Il problema però è che ormai l’immagine politica di Sel risulta appannata, anche grazie a quella telefonata di Vendola con Girolamo Archinà, in cui il governatore pugliese si complimentava per il «balzo felino» con cui il dirigente dell’Ilva aveva strappato il microfono a un giornalista. A molti elettori di Sel quel balzo non è piaciuto affatto.

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Daniela Preziosi 
Sel, la "strada giusta" riparte in salita
il manifesto, 24 gennaio 2014


Nelle odis­see poli­ti­che non c’è mai dav­vero un’Itaca, ma il bol­let­tino dei navi­ganti dice a Nichi Ven­dola tem­pe­sta. Tem­pe­sta forte, tale da richie­dere la ricerca imme­diata di un approdo, se non un porto almeno uno sco­glio. Oggi al Pala­con­gressi di Ric­cione si apre il secondo con­gresso di Sini­stra eco­lo­gia e libertà, si inti­tola «la strada giu­sta fra crisi sociale, della poli­tica e un campo largo, a sini­stra, da rico­struire». 900 dele­gati in rap­pre­sen­tanza di 34.300 iscritti non post-ideologici ma certo «laici di sini­stra», rac­conta una ricerca di Paola Bor­dan­dini (La spada di Ven­dola, Don­zelli) descri­ven­doli come risorsa irri­nun­cia­bile per un’alleanza post­ber­lu­sco­niana, «senza un nemico da combattere».
Ma il post­ber­lu­sco­ni­smo è ini­ziato? Il tempo non ne fa una dritta a Sel e appa­rec­chia un menù al cia­nuro per le assise che deci­de­ranno la sorte della sini­stra che «tiene aperta la par­tita» del cen­tro­si­ni­stra, anima gover­ni­sta (fuori dal governo) di una sini­stra ita­liana che zop­pica con tutti i piedi che ha. Il Pd, l’alleato d’elezione, governa con la destra; il neo­se­gre­ta­rio Renzi ha con­cor­dato con Ber­lu­sconi una legge elet­to­rale che «asfalta» i par­ti­tini (sbar­ra­mento al 5 per quelli in alleanza, all’8 chi sta fuori); e a chi obietta ha rispo­sto «si arran­gino», avver­ti­mento a futura memo­ria. Eppure, per i son­daggi, anche quel pes­si­mi­stico 2,3 per cento a cui viene oggi quo­tata Sel (dal 3,2 del 2013), sarebbe deter­mi­nante per la vit­to­ria. E però il pac­chetto Renzi-Berlusconi con gli alleati utili non divide nean­che il pre­mio di mag­gio­ranza (oggi, con il por­cel­lum, Sel ha 37 depu­tati e 7 senatori).
Ma saranno le euro­pee di mag­gio a pre­sen­tare il primo conto. Lì lo sbar­ra­mento è al 4. I ven­do­liani si divi­dono fra gli sbi­lan­ciati verso il Pse (Sel ha chie­sto di ade­rire, nes­suna rispo­sta ancora è arri­vata) pro­pensi ad appog­giare, insieme al Pd, il social­de­mo­cra­tico tede­sco Mar­tin Schulz (Gen­naro Migliore è il capo­fila); e i tanti che guar­dano al gio­vane Ale­xis Tsi­pras, lea­der della greca Syriza, lan­ciato in Ita­lia da un appello di intel­let­tuali (sul mani­fe­sto del 17 gen­naio). Su un piatto della bilan­cia c’è il social­de­mo­cra­tico, anima cri­tica della Spd lar­ghin­te­si­sta, che potrebbe incas­sare la non bel­li­ge­ranza di Angela Mer­kel. Sull’altro c’è Tsi­pras, dal pro­gramma anti­ri­go­ri­sta, lo stesso di Sel; ma con una lista che, per ora, non acco­glie la «terra di mezzo» di conio ven­do­liano e indica come approdo il Gue, il gruppo della Sini­stra euro­pea. Una cena fra Ven­dola e Bar­bara Spi­nelli, ispi­ra­trice della lista, non ha pro­dotto avvi­ci­na­menti. Sel è pronta a fare una sua lista, ma il rischio di non acciuf­fare il 4 per cento è reale. Ven­dola, pure pro­vato dalla vicenda Ilva, ha pro­messo che deci­derà insieme ai dele­gati se cor­rere per Bru­xel­les: la sua pre­senza fa la dif­fe­renza. D’altro canto per le sini­stre ita­liane, divise ormai per tra­di­zione e defi­ni­zione, il rischio replica del disa­stro 2013 è die­tro l’angolo.
Intanto dal Pd parte il pres­sing per l’ingresso di Sel che irro­bu­sti­rebbe il par­tito nuovo di Renzi. Ha i toni spre­giu­di­cati del segre­ta­rio che prima del patto con Ber­lu­sconi aveva assi­cu­rato la sua pre­senza domani a Ric­cione. Verrà dav­vero, ora che indossa i panni dell’angelo asfal­ta­tore? «Deci­desse lui», taglia corto Cic­cio Fer­rara, coor­di­na­tore di Sel, annun­ciando il no all’Italicum. «Gli sbar­ra­menti per i coa­liz­zati e non, sono alti e odiosi. Ma il punto è: Renzi per­met­terà di nuovo a Ber­lu­sconi di por­tare in par­la­mento i suoi mag­gior­domi», ragiona Mas­si­mi­liano Sme­ri­glio, vice di Nicola Zin­ga­retti alla regione Lazio, in altri fran­genti gra­ni­tico coalizionista.
Ma l’offerta di abban­do­narsi all’abbraccio del par­ti­tone ha anche la voce ami­che­vole di Gof­fredo Bet­tini, teo­rico del «campo largo» — pre­sente al con­gresso — che oggi però vira verso il bipar­ti­ti­smo: «Ci vuole uno schema inno­va­tivo: Renzi can­di­dato pre­mier con un campo uni­ta­rio dei demo­cra­tici, plu­rale, con­ten­di­bile in perenne eser­ci­zio di pro­du­zione di idee, di deci­sioni, di lotta». E quella dell’amico di una vita di Ven­dola, Nicola Latorre, neo­ren­ziano di antica osser­vanza dale­miana: «Nichi porti ai suoi que­sto oriz­zonte stra­te­gico, a pre­scin­dere dalla legge elet­to­rale, come approdo poli­tico e natu­rale. Senza biso­gno di gesti mor­ti­fi­canti». «È que­sto il momento di met­tere in campo un pro­getto poli­tico», replica Fer­rara. «Nichi stu­pirà», assi­cura Sme­ri­glio. Intanto da oggi ini­zia la bat­ta­glia degli emen­da­menti al docu­mento unico, dopo i con­gressi ter­ri­to­riali com­bat­tuti a colpi di accuse di tes­se­ra­menti gon­fiati, nella migliore tra­di­zione di fami­glia. A andrà in scena anche il duello del con­gresso della Cgil, fra la segre­ta­ria Susanna Camusso, che par­lerà oggi, e quello della Fiom Mau­ri­zio Landini.
La spe­ranza è nell’opera, diceva Vin­cenzo Car­da­relli. Quel Car­da­relli citato da Fau­sto Ber­ti­notti il giorno che annun­ciò la fine del secondo governo Prodi (2007, lo definì «il più grande poeta morente»). Ma da ogni lato la si guardi oggi «l’opera», sem­bra avere una porta che si chiude.
È sem­pre l’ora del bilan­cio per una sini­stra oggi fran­tu­ma­glia, alle prese con l’ennesima crisi di rela­zione con i nuovi movi­menti dell’età della crisi. L’unità ha per­sino smesso di essere uno slo­gan, per­ché una meta troppo lon­tana rischia di essere una fata­mor­gana, o un trucco. Ber­ti­notti, padre poli­tico di Ven­dola, dopo la rot­tura con Armando Cos­sutta (’98), dopo essere stato pre­si­dente della camera dell’Unione (2006), oggi è distante mille miglia dal com­pa­gno di un tempo. E invece l’anziano pre­si­dente che fu fon­da­tore del Prc e poi del Pdci (che poi ha lasciato), e che ormai vive riti­rato, alle ultime poli­ti­che ha con­fi­dato a un amico la sua bene­vo­lenza verso Ven­dola, avver­sa­rio interno di un tempo. «Nichi è capace, gene­ro­sis­simo. Imma­gino la sua fatica. Ma intorno ha il deserto», riflette ama­ra­mente Ersi­lia Sal­vato, per com­ple­tare il qua­dro dei rifon­da­tori della prima ora, l’ultima del Pci. Dome­nica Ven­dola (e com­pa­gni e com­pa­gne) dovranno deci­dere la loro «strada giu­sta». Qual­siasi sarà, par­tirà in salita.


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