venerdì 18 aprile 2014

K.S. Karol bolscevico inusuale

Jean Daniel *

Cara Ros­sana,
la mia esi­ta­zione a pro­nun­ciare le parole che seguono è venuta meno quando ho visto il con­forto, pur mode­sto, che sono ancora in grado di recarti. In un primo momento avevo rifiu­tato, per­ché l’epoca ci rende fra­gili, e anche per­ché se ne stanno andando tutti, riem­pien­doci di ricordi che sono altret­tante ferite.
C’è anche il fatto che Karol ci ha abban­do­nati dopo tan­tis­simo tempo. Non ci ha lasciati, ma non pos­siamo più rivol­gerci a lui come prima e, sai bene che se siamo qui, non è per lui che è troppo lon­tano, ma per noi che siamo pieni della sua vita.
Sì, il tempo gioca un ruolo. Quasi tutti i giorni mi capita di chie­dermi che cosa avrebbe fatto Serge Lafau­rie al mio posto. Per Karol occor­rono degli eventi, non parlo di te Ros­sana, ma in que­sto momento per eventi come quelli che acca­dono in Ucraina, con il pos­si­bile ritorno a diverse pic­cole guerre fredde, non posso fare a meno di dire che Karol ci manca, e di rileg­gere, come ho fatto, alcuni suoi arti­coli tut­tora impres­sio­nanti, colti e decisi come sono. Ma tor­niamo al nostro incontro.

Primo giorno della guerra d’Algeria

Ho appena pub­bli­cato un libro ambien­tato in quel paese. Karol lo legge e lo segnala subito ai respon­sa­bili dell’Express con il quale col­la­bora. Gra­zie a que­sto, arrivo anche io all’Express e si forma un trio che fa par­lare di sé: Serge Lafau­rie, K.S. Karol e io. Per venti anni saremo inse­pa­ra­bili. Chi è lui? Ha perso l’uso dell’occhio sini­stro ma è bra­vis­simo nel farlo dimen­ti­care. Parla almeno sei lin­gue. Ha un accento affa­sci­nante e una capa­cità senza eguali di rein­ven­tare la lin­gua fran­cese. Ha fatto la resi­stenza in Polo­nia, è stato impri­gio­nato in Unione sovie­tica, è tor­nato in Polo­nia. Ma come ha attra­ver­sato tutte que­ste prove? Che cosa gli hanno lasciato? Per ade­guarsi all’ambiente, egli si dice «pro­gres­si­sta anti-totalitario». All’epoca i pro­gres­si­sti erano comu­ni­steg­gianti ma anti­bol­sce­vi­chi. Karol dete­sta gli sta­li­ni­sti ma ancor più gli anti­co­mu­ni­sti. Il suo mae­stro è Isaac Deu­tscher, che vive a Lon­dra, come suo padre.

Il comu­ni­smo, il mar­xi­smo e le rivoluzioni

È un pozzo di scienza in mate­ria di comu­ni­smo e di rivo­lu­zioni a Est. Ha amici ovun­que in Europa e soprat­tutto in Ita­lia, dove i comu­ni­sti lo accol­gono bene, pro­prio per­ché è anti­sta­li­ni­sta.
Il Par­tito comu­ni­sta ita­liano è par­ti­co­lar­mente aperto (è il par­tito di Togliatti e di Enrico Ber­lin­guer), ma c’è soprat­tutto una pic­cola for­ma­zione, gio­vane, bril­lante e radi­cale che si chiama il mani­fe­sto. Alla guida del gruppo una donna note­vole, una mar­xi­sta lumi­nosa e intran­si­gente: Ros­sana Ros­sanda, che egli spo­serà. E c’è Luciana Castel­lina – il suo dia­rio è stato da poco pub­bli­cato in fran­cese. Quanto al nostro Karol, scrive due grossi libri, il primo su Cuba, l’altro sulla Cina; in due libri suc­ces­sivi, egli sfuma e cor­regge le tesi del secondo. A che punto è Karol in quell’epoca? Si può dire che egli vive per e attra­verso il comu­ni­smo, il mar­xi­smo e le rivo­lu­zioni. Aperto alla discus­sione, diventa set­ta­rio quando sospetta di atlan­ti­smo un poli­tico o un col­lega.
Ha un senso incre­di­bile dei rap­porti umani. Un giorno rie­sce a far incon­trare Men­dès France, il labu­ri­sta bri­tan­nico Aneu­rin Bevan e il socia­li­sta ita­liano Pie­tro Nenni, con i quali pensa che si possa intac­care il pre­sti­gio dell’Unione sovie­tica senza avvi­ci­narsi però agli Stati Uniti.
Poli­ti­ca­mente non era­vamo d’accordo. Ma siamo stati fedeli a que­sto col­let­ti­vi­sta impe­ni­tente che poteva vivere uni­ca­mente in una demo­cra­zia occi­den­tale. Il mani­fe­sto riu­niva gio­vani rivo­lu­zio­nari ma le sue ani­ma­trici, Ros­sana Ros­sanda e Luciana Castel­lina, pro­ve­ni­vano da grandi fami­glie. A mar­gine, si pote­vano ascol­tare le ana­lisi di Lucio Magri, sin­da­ca­li­sta e filo­sofo, aspetto da attore ame­ri­cano, una delle guide del nostro André Gorz.

In fondo, pen­sava come Sartre

Quando ini­zia a uscire Le Nou­vel Obser­va­teur, riservo natu­ral­mente un posto per K.S. Karol, che ogni set­ti­mana distilla la sua impa­reg­gia­bile cono­scenza sul mondo comu­ni­sta. Le sue tesi sono oggetto di discus­sione, quando si tratta di Castro e soprat­tutto di Mao, il tiranno rosso che mal­grado tutto egli ammira. Il comu­ni­smo era l’unico mondo che lo inte­res­sasse dav­vero. Karol era amico di Fidel Castro ma finì per rim­pro­ve­rar­gli seve­ra­mente l’astio verso gli omo­ses­suali. Per Mao, era un’altra sto­ria, piena di scin­tille, e dovevo con­ti­nua­mente fun­gere da arbi­tro. Il nostro amico è un uomo che può incon­trare Chou En Lai. Ma è con­te­stato e l’offensiva viene dai Roy: Jules e Claude. I quali tor­nano dalla Cina con accuse ter­ri­bili – e giu­sti­fi­cate – con­tro il regime maoi­sta. Sca­te­nano una tem­pe­sta che gesti­sco male. Non è una rot­tura ma una lace­ra­zione.
Fino alla fine, Karol è stato più attento a quelli che inco­rag­gia­vano i rivo­lu­zio­nari che a quelli che ne teme­vano le derive. In fondo, pen­sava come Sar­tre: «Sì, Camus, anch’io odio il gulag, ma ancor più odio chi lo usa come pre­te­sto per schiac­ciare il pro­le­ta­riato». Camus aveva ragione. Ma io, volevo bene a Karol…

* Nato in Algeria da famiglia ebraica francese, è il fondatore del settimanale Le Nouvel Observateur (di cui fino a giugno 2008 fu anche direttore responsabile); Daniel è un umanista orientato politicamente a sinistra. Nel libro La prison juive: Humeurs et méditations d'un témoin sostiene che gli ebrei, considerandosi il popolo eletto, si sono imprigionati. Le sue opere sono percorse dall'interrogativo sul ruolo della religione nella morale moderna. Ha fatto parte del think tank della Fondazione Saint-Simon. In Italia è stata pubblicata l'opera Resistere all'aria del tempo (Con Camus) [Mesogea, (2009)]
** Il testo che pro­po­niamo è stato letto alla ceri­mo­nia di saluto a K. S. Karol al Père Lachaise mer­co­ledì 16 aprile 2014.

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