venerdì 23 maggio 2014

C'era una volta Berlinguer

Il leader dei 5 Stelle ha cercato di appropriarsi dell'eredità etica del segretario del Pci Berlinguer (il quale mai avrebbe usato i suoi toni violenti). «Il Movimento 5 Stelle è l'unico partito che porta avanti la questione morale di Berlinguer, siamo gli unici a portare avanti la sua eredità». Appena arrivato sul palco, l'ex comico è stato preso in braccio dal parlamentare Di Battista, come fece Benigni con il segretario comunista. (l'Unità, 24 maggio 2014)

Così a questo siamo arrivati, dissacrando dissacrando. O usando usando. In piazza san Giovanni. Con Grillo che arriva in braccio a Di Battista. Non è il caso di chiedersi, qui e ora, chi era veramente Berlinguer. L'ultimo grande segretario del Pci è stato tante cose. Un comunista democratico. Un eurocomunista. Un erede di Palmiro Togliatti. Un alleato della Democrazia cristiana. E via di questo passo. Certo non era prevedibile che diventasse una icona da consumare in pubblico, a fini elettorali. Lo sberleffo continua, certo. E Berlinguer viene ucciso per la seconda o la terza volta.
Era stato a lungo dimenticato o accantonato dai suoi stessi eredi per comprensibili ragioni. Comprensibili quanto taciute, il più delle volte. Il socialismo dal volto umano si era inabissato con il crollo del socialismo reale. Ancor più inopportuno per molti risultava a quel punto tirare in ballo il comunismo. Perché attraverso la figura di Berlinguer esibirne ancora il ricordo?
Adesso siamo al terzo momento di esclusione dalla scena dopo la morte fisica nel 1984. Berlinguer diventa un'icona contesa da schiere di eredi presunti. A questo punto è di moda soprattutto il politico onesto che aveva riportato in primo piano la questione morale. Perché no? C'è una logica in questa riabilitazione trionfale della memoria.
Tutti i salmi finiscono in gloria, allora? Non proprio. Quello che torna sulla scena è un personaggio che ha pur sempre legato il suo nome alla politica del compromesso storico. A suo modo Berlinguer voleva porre fine all'anomalia italiana del bipartitismo imperfetto. Moro in proposito aveva le idee più chiare ma è certo che per entrambi il problema era quello di porre fine all'esclusione del Pci dal potere governativo. Ora il nome di Berlinguer ritorna proprio mentre torna di attualità l'anomalia italiana  (*). Un bel paradosso.

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(*) Massimo Franco
Verso un bipolarismo destinato a riproporre l’anomalia italiana
Corriere della Sera, 24 maggio 2014

Al di là di chi arriverà primo, l’Italia si prepara a consegnare di sé all’Europa l’ennesima immagine anomala. Il bipolarismo che si sta delineando tra Pd e Movimento 5 Stelle spiazza le divisioni tradizionali tra destra e sinistra. E offre un Paese nel quale la protesta non solo promette di assumere dimensioni di massa ma trasversali e non catalogabili in modo tradizionale. Il solo fatto che non si sappia dove gli eletti che saranno portati a Strasburgo da Beppe Grillo siederanno, certifica la diversità italiana. Le parole preoccupate di Matteo Renzi e di Silvio Berlusconi per l’ascesa del movimento dell’ex comico sono il segno di una sorpresa e di un affanno che aumentano di ora in ora.
Può darsi che si rivelino esagerate, e che gli elettori rispondano ai loro appelli. Ma il solo fatto che il leader di FI inviti a disertare le urne pur di non votare Grillo, tradisce un’inquietudine profonda. Segnala un atteggiamento psicologico che ha introiettato il dubbio della sconfitta: politica, se non numerica. Conferma quanto la virulenza verbale e la strategia dello sfascio del M5S siano i sintomi di una crisi profonda del sistema, terrorizzato di non avere anticorpi sufficienti per fermare questa ondata nichilista. Anticipa soprattutto il ridimensionamento del centrodestra dopo anni di predominio. E dilata il vuoto lasciato dal berlusconismo al centro del sistema politico.
Il punto interrogativo è se il governo di Renzi e il suo partito, in apparenza orfani del principale avversario e quindi potenzialmente trionfanti, saranno in grado di riempirlo almeno in parte; fino a qualche settimana fa, sembrava così. In fondo, il cambio in corsa doloroso a Palazzo Chigi con Enrico Letta ha avuto come ragione forte quella di arginare un populismo galoppante. Se questo obiettivo viene mancato, rischia di aprirsi un problema politico non da poco per l’esecutivo: sebbene si tenda ad esorcizzare questo scenario. Dipenderà dal livello di astensionismo e dalla distanza che il Pd riuscirà a mettere tra i propri consensi e quelli del M5S, se, come pare, ci riuscirà.
Renzi invita ad «andare a prendere uno a uno i voti del centrodestra». E chiede di non astenersi, convinto che percentuali di partecipazione basse favoriscano Grillo. «Noi partiamo al secondo posto» rispetto alle politiche del 2013, mette le mani avanti il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio. «Il Pd sarebbe felice di sorpassare Grillo. Ma effettuare il sorpasso governando è molto complicato». È una cautela in parte scaramantica, in parte dovuta all’imprevedibilità del voto europeo. Tra l’altro, non tutto l’elettorato sarebbe informato che si può andare alle urne solo domani, e non anche lunedì come succede per le Politiche. Il premier si dice sicuro che Berlusconi manterrà i patti sulle riforme istituzionali «nonostante le Europee»: dando per scontato un insuccesso che potrebbe compromettere il percorso seguito finora.
La sensazione è che ci si avvii ad una situazione postelettorale tale da aumentare le tensioni e la precarietà della legislatura. Ma proprio per questo obbligherà la maggioranza a fare le riforme promesse, per non aumentare l’ipoteca di un populismo che predica il «tutti a casa» dei partiti, avanzando proposte suicide per l’Italia; e per non alimentare la percezione negativa che l’Europa ha ricominciato a nutrire nei confronti del nostro Paese. Un governo nato per dimostrare una capacità decisionale inusuale, si ritrova di colpo sulla difensiva: costretto a rivendicare il poco o il tanto che ha fatto, e a garantire che farà di più: anche se la «leggerezza» di alcuni ministeri imporrà cambiamenti immediati.

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Marco Belpoliti
La canottiera di Bossi
Guanda, Parma 2012, pp. 18-20

... In un articolo del 1975, lo scrittore Mario Soldati descrive la gestualità di Berlinguer soffermandosi sul ricamo delle mani, sempre simmetriche e sincrone: "Piatte e piegate al polso, ora le manine delimitano un piano logico, dividono due argomenti troppo facili a confondere: ora, invece, curvandosi entrambe a conca, l'una di qua e l'una di là, chiudono come un cerchio magico fatti o idee che vanno considerati globalmente". Soldati vuol suggerire l'incrollabile fede ideologica che è implicita in questo, le convinzioni che si celano dietro i gesti, che, seppur descritti a parole, ricordano da vicino quelli dei democristiani che argomentano in modo sottile, e cercano un contatto intellettuale, non solo emotivo, col loro uditorio. Sono, si potrebbe dire, dei mandarini, ovvero uomini di potere, che del loro potere non devono rendere conto agli ascoltatori, ma lo esercitano nel pubblico comizio attraverso il dispiegarsi delle frasi e dei ragionamenti, così che i destinatari del messaggio abbiano la sensazione di partecipare al farsi stesso delle idee, o almeno di condividerle, come quando si ascolta un insegnante, un professore o un intellettuale.
... Luigi Ghirri [...] ha scattato una serie d'immagini molto eloquenti in una delle ultime feste dell'Unità in cui il leader del Pci tenne il comizio conclusivo davanti alla folla dei militanti [...] La solitudine di Berlinguer è evidentissima. Si trova lontano dalla folla, distante e la sua corporeità sembra cancellata. Un'interpretazione, certo, ma come nel ritratto di Soldati, in questi scatti si comprende benissimo quale sia lo stile oratorio e gestuale del leader comunista.

Andrea Cortellessa sul libro di Belpoliti  http://www.sinistrainrete.info/cultura/1979-andrea-cortellessa-fenomenologia-della-canotta.html

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