sabato 17 maggio 2014

L'uccisione di Giovanni Gentile

Gianpasquale Santomassimo
Omicidio Gentile, cinque obiezioni
il manifesto Alias, 11 maggio 2014

E' sin­go­lare che di fronte a un omi­ci­dio poli­tico aper­ta­mente e quasi orgo­glio­sa­mente riven­di­cato dai comu­ni­sti siano sorti tanti dubbi e ipo­tesi stra­va­ganti. Si parla dell’uccisione di Gio­vanni Gen­tile, ese­guita da un comando dei GAP il 15 aprile 1944. Aveva comin­ciato nel 1985 Luciano Can­fora (La sen­tenza, edi­zioni Sel­le­rio), che però era par­tito da un pro­blema reale: l’aggiunta finale di Giro­lamo Li Causi a un arti­colo di con­danna di Gen­tile scritto da Con­cetto Mar­chesi e che poteva suo­nare appunto come una sen­tenza di morte. Poi si sono aggiunti nel tempo testi di vari autori che hanno finito per dar vita a un cospi­cuo filone di let­te­ra­tura complottistica.
Il mas­sic­cio libro di Luciano Mecacci (La Ghir­landa fio­ren­tina e la morte di Gio­vanni Gen­tile, Adel­phi, pp. 520, euro 25,00), se da un lato suscita sin­cera ammi­ra­zione per lo sforzo fatto dall’autore di rico­struire tutte le pos­si­bili piste che si dipa­nano attorno all’evento, sia pure solo ipo­te­ti­che e debol­mente indi­zia­rie, dall’altro lascia nel let­tore una sen­sa­zione ine­vi­ta­bile di incon­clu­denza. Alla fine non veniamo a sapere in realtà molto più di quanto non sapes­simo sull’evento in sé, se non su det­ta­gli secon­dari, anche se appren­diamo mol­tis­simo su per­so­naggi come Mario Man­lio Rossi, forse in con­tatto con i ser­vizi segreti inglesi, e sulla sua ini­mi­ci­zia con Euge­nio Garin; e sullo scoz­zese John Pur­vis, anch’egli forse reclu­tato dai ser­vizi, che nel 1938 venne a Firenze e prese appunti su molti intel­let­tuali fio­ren­tini, in un tac­cuino cui dette il nome di «Ghir­landa fio­ren­tina» (di qui il titolo del libro).
La cor­posa inda­gine di Mecacci prende avvio da un cenno di Cesare Lupo­rini a «cose che forse ancora non si pos­sono dire» riguardo all’omicidio Gen­tile, pro­nun­ciato in una inter­vi­sta radio­fo­nica del 1989. Pur­troppo non sapremo mai a cosa in par­ti­co­lare volesse rife­rirsi. Sap­piamo che Lupo­rini, legato da affetto e rico­no­scenza nei con­fronti di Gen­tile, si era recato a tro­vare il più anziano filo­sofo nella sua villa per ten­tare di dis­sua­derlo dall’esposizione vistosa in difesa di Mus­so­lini e della RSI a cui si era prestato.
Gen­tile del resto era stato deten­tore di un immenso potere nella cul­tura ita­liana nel tempo del fasci­smo: sul piano poli­tico, acca­de­mico, edi­to­riale. Attra­verso l’Enciclopedia ita­liana aveva intrat­te­nuto rap­porti con quasi tutta l’intellettualità ita­liana, anche non fasci­sta, con atti­tu­dine cer­ta­mente impron­tata a libe­ra­lità, ma che era stata in verità carat­te­ri­stica della poli­tica cul­tu­rale fasci­sta nei suoi aspetti più coin­vol­genti: lo stesso atteg­gia­mento era stato tenuto da Gioac­chino Volpe nell’organizzazione degli studi sto­rici e in maniera ancor più spre­giu­di­cata da Giu­seppe Bot­tai, soprat­tutto negli anni di «Pri­mato». Non mera­vi­glia quindi che il meglio della nostra cul­tura avesse avuto, e in parte man­te­nesse ancora, rap­porti di com­plessa vici­nanza con Gen­tile. E quindi non stu­pi­sce che mol­tis­simi intel­let­tuali si tro­vino chia­mati in causa in que­sto libro, anche se il nesso a volte sfugge: non solo Lupo­rini e Garin, ma anche Anto­nio Banfi, Guido Calo­gero, Ranuc­cio Bian­chi Ban­di­nelli, e stra­nieri ai mar­gini del qua­dro come Ber­nard Beren­son e Igor Mar­ke­vitch. E c’era anche l’immancabile Licio Gelli, che indub­bia­mente si tro­vava in Toscana e traf­fi­cava tra repub­bli­chini e alleati.
Ovvia­mente si abbonda nell’accusa agli intel­let­tuali di aver vol­tato gab­bana (cosa che in realtà può dirsi per la stra­grande mag­gio­ranza della popo­la­zione ita­liana) e si asse­ri­sce più volte, sulla scorta per la verità di altri autori, che il silen­zio degli intel­let­tuali è una con­ferma della loro impli­ca­zione, che è argo­men­ta­zione dalla logica deci­sa­mente premoderna.
L’autore fa ricorso alla meta­fora dei cer­chi nell’acqua, «per cui si parte da un cer­chio interno… da cui si irra­dia il movi­mento dei cer­chi più peri­fe­rici, fino ad arri­vare all’ultimo cer­chio, quello dei gap­pi­sti, che infine pro­voca l’onda distrut­tiva». Quindi ci sono ese­cu­tori, man­danti, com­plici. Se la prima cate­go­ria risulta fin dall’inizio paci­fica e riven­di­cata, le altre due, e soprat­tutto l’ultima, sono invece vaghis­sime. Nell’impossibilità di entrare nel det­ta­glio di un libro molto com­plesso, mi limi­te­rei a qual­che osser­va­zione di carat­tere gene­rale e det­tata soprat­tutto dal buon senso.
1. Va sot­to­li­neata la straor­di­na­ria faci­lità dell’atto, che non richie­deva grande orga­niz­za­zione. Qui non ci tro­viamo di fronte ad alcuna «geo­me­trica potenza», come nel caso Moro, che viene evo­cato a spro­po­sito. Un pic­colo gruppo di gap­pi­sti in «divisa» da stu­denti e con i libri bene in vista blocca una mac­china di fronte a un can­cello e fa fuoco sul pas­seg­gero. Gen­tile era com­ple­ta­mente indi­feso, e pur essendo per­so­na­lità di grande rilievo nella Repub­blica sociale non aveva alcuna scorta. Se si pensa che una set­ti­mana prima il suo segre­ta­rio era stato rastrel­lato e fuci­lato da tede­schi e fasci­sti, si com­pren­derà come prima che giun­gesse la riven­di­ca­zione dei Gap si fos­sero dif­fuse molte voci su un rego­la­mento di conti all’interno del fasci­smo di Salò.
2. Sulla que­stione di un atto voluto dai ser­vizi inglesi, per bloc­care la «paci­fi­ca­zione nazio­nale» per­se­guita da Gen­tile e che avrebbe potuto por­tare a una pace sepa­rata, c’è da obiet­tare in primo luogo che non si capi­sce per­ché agli inglesi dovesse risul­tare sgra­dita que­sta ipo­tesi. Ma soprat­tutto biso­gna ricor­dare in cosa con­si­stesse la paci­fi­ca­zione pro­pa­gan­data con enfasi da Gen­tile. Nei suoi inter­venti pub­blici degli ultimi mesi il filo­sofo aveva invo­cato la «con­cor­dia», dopo «l’ubriacatura dei qua­ran­ta­cin­que giorni», la neces­sità di supe­rare le lotte interne «tranne quella vitale con­tro i sobil­la­tori, i tra­di­tori, ven­duti o in buona fede, ma sadi­sti­ca­mente ebbri di ster­mi­nio», cioè i par­ti­giani. Ancora nel suo ultimo inter­vento di rilievo del 19 marzo, inau­gu­rando l’Accademia d’Italia e com­me­mo­rando Vico, aveva invi­tato alla paci­fi­ca­zione degli animi, ma sotto la guida di Mus­so­lini «voce antica e sem­pre viva della Patria» e a fianco del «Con­dot­tiero della grande Ger­ma­nia». I suoi toni erano certo diversi rispetto a quelli del fasci­smo repub­bli­chino più fana­tico, ma la linea che pro­po­neva non dif­fe­riva sostan­zial­mente da quella di Mus­so­lini. Cer­ta­mente gli attac­chi del colon­nello Ste­vens da Radio Lon­dra con­tri­bui­rono a fare di Gen­tile un ber­sa­glio evi­dente, ma non bastano a indi­care gli inglesi come «man­danti» dell’esecuzione.
3. Altro tema ricor­rente e fan­ta­sioso in que­sta let­te­ra­tura è quello dell’omicidio ordi­nato da Togliatti per «impa­dro­nirsi» della mitica «ege­mo­nia cul­tu­rale» sba­raz­zan­dosi dell’ostacolo più ingente che si frap­po­neva. C’è qui un duplice equi­voco, il primo vistoso, il secondo più sot­tile. Pen­sare che Gio­vanni Gen­tile avrebbe potuto eser­ci­tare un ruolo di rilievo nella cul­tura ita­liana del dopo­guerra è del tutto irrea­li­stico. Un’avvisaglia espli­cita di ciò che atten­deva Gen­tile si era avuta nella rispo­sta duris­sima e sfer­zante del mini­stro bado­gliano Leo­nardo Severi, resa pub­blica nell’agosto 1943 in rispo­sta a una prof­ferta di «con­si­gli» da parte di Gen­tile. Ed era stata già avviata la pro­ce­dura di epu­ra­zione del filo­sofo dall’Università. Potremmo dire anzi che la fine tra­gica rispar­miò a Gen­tile un futuro di umi­lia­zioni avvilenti.
Quanto a Togliatti, invece, va ricor­dato che era appena tor­nato in Ita­lia con una visione molto som­ma­ria della cul­tura ita­liana, che imma­gi­nava com­ple­ta­mente suc­cube dell’egemonia cro­ciana. Si lan­ciò in attac­chi molto vio­lenti nei con­fronti di Croce, al punto da pro­vo­care quasi una crisi nel governo Bado­glio (Togliatti e Croce erano entrambi mini­stri), che si com­pose solo con le scuse del lea­der del Pci. Sol­tanto nell’aprile 1952 Togliatti modi­ficò la sua inter­pre­ta­zione, rico­no­scendo che l’egemonia cul­tu­rale durante il fasci­smo era stata soprat­tutto dell’«idealismo attuale», cioè gen­ti­liana.
4. Si tra­scura o si ignora una carat­te­ri­stica fon­da­men­tale del comu­ni­smo fio­ren­tino, che era il suo carat­tere rigi­da­mente «pro­le­ta­rio», nel signi­fi­cato che il ter­mine poteva assu­mere in una città senza grandi inse­dia­menti indu­striali, ma che impli­cava in ogni caso una con­no­ta­zione for­te­mente anti-intellettualistica. Anche di qui una forte dif­fi­denza nei con­fronti degli azio­ni­sti fio­ren­tini, con­si­de­rati intel­let­tuali bor­ghesi, che sarebbe pro­se­guita a lungo nel dopo­guerra. Il solo Romano Bilen­chi aveva rap­porti col mondo dei gap­pi­sti, di cui avrebbe rico­struito la sto­ria. Lupo­rini non era iscritto al par­tito ma sarebbe stato ammesso molto più tardi, con qual­che dif­fi­coltà e per inter­ces­sione di Bilen­chi.
Anche Ranuc­cio Bian­chi Ban­di­nelli non era iscritto nell’aprile del 1944, se pure era sti­mato e ascol­tato nella pic­cola cer­chia comu­ni­sta. In ogni caso è impen­sa­bile che deci­sioni della por­tata dell’uccisione di Gen­tile potes­sero venire assunte die­tro impulso deci­sivo degli intel­let­tuali più o meno vicini al par­tito. Più sen­sato è il rin­vio a un influsso dell’ambiente mila­nese, dove si tro­vava il cen­tro e il cuore dell’attività di pro­pa­ganda e orien­ta­mento del Pci nell’Italia occu­pata (e dove anche l’ambiente azio­ni­sta era molto distante da un rap­porto di fami­lia­rità con Gen­tile, come dimo­strò l’approvazione dell’attentato, in netto con­tra­sto con l’atteggiamento dell’azionismo fiorentino).
5. Quanto alla «ecce­zio­na­lità» incom­pren­si­bile dell’assassinio di un intel­let­tuale, va ricor­dato che due mesi dopo Marc Bloch verrà tor­tu­rato e fuci­lato dai nazi­sti, e che un anno dopo Hui­zinga morirà pri­gio­niero dei tede­schi. Nella nuova gene­ra­zione di intel­let­tuali si ricor­derà che Giaime Pin­tor era caduto in azione il 1° dicem­bre del 1943 (e Gen­tile ne era stato infor­mato dall’amico For­tu­nato Pin­tor) e che Euge­nio Curiel, citato qui per il duro arti­colo Senza necro­lo­gio scritto in morte di Gen­tile, sarebbe stato ucciso dai fasci­sti nel feb­braio del 1945. Gen­tile, in ogni caso, non può essere con­si­de­rato un «nor­male» intel­let­tuale dedito esclu­si­va­mente ai suoi studi: era stato ideo­logo del regime e mini­stro, grande orga­niz­za­tore della cul­tura fasci­sta, e aveva accet­tato la carica di pre­si­dente dell’Accademia d’Italia restau­rata dal regime di Salò.
Forse alla fine biso­gnerà ras­se­gnarsi all’evidenza e a con­si­de­rare l’uccisione di Gen­tile sem­pli­ce­mente come una delle tante ese­cu­zioni di col­la­bo­ra­zio­ni­sti avve­nute nel corso della Resi­stenza europea.

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