sabato 23 agosto 2014

Agosto 1939: il dissenso di Umberto Terracini

Gianni Corbi
Camilla l'intrigante e Scoccimarro il debole
la Repubblica, 18 febbraio 1992


La lettera inviata da Palmiro Togliatti a Vincenzo Bianco in cui si affronta il caso Terracini-Ravera è di grande interesse per la comprensione di un capitolo importante della storia del Pci. Togliatti la scrive da Ufa - capitale della Baschiria - dove si è rifugiata una parte della Nomenklatura del Comintern. Nella lettera non si parla dei drammi dell' Armir, della guerra mortale con Hitler, ma di fatti politici e personali che si svolgono nell' assolata isola di Ventotene, a molte migliaia di chilometri da Ufa. Ma il lettore non si lasci ingannare. In tre paginette il leader del Pci e dell' Internazionale comunista affronta casi personali drammatici, mette le dita in una piaga purulenta, scoperchia una pentola nella quale hanno bollito a lungo alcuni veleni mortali del comunismo italiano. Oggetto della corrispondenza è la sorte da riservare a Umberto Terracini e a Camilla Ravera, due fondatori del partito, da moltissimi anni in carcere, indiziati di revisionismo, di trotzkismo, di scarsa o nessuna comprensione delle esigenze della politica sovietica. Che fare di questi eminenti compagni? Espellerli tout court, come sembra abbiano già fatto i dirigenti del collettivo comunista di Ventotene? O tentare di recuperarli? Per comprendere appieno il significato della lettera di Togliatti bisogna tornare indietro di quattro anni. Riandare con la memoria al 23 agosto del 1939. Quel giorno viene firmato il patto Ribbentrop-Molotov. La "terribile" fotografia in cui si vede Stalin stringere la mano al ministro degli esteri nazista sprofondò il comunismo occidentale in una crisi micidiale. Togliatti in quei giorni è a Parigi e fa propria la tesi del segretario del Pcf Maurice Thorez: "Si deve distinguere tra un giudizio sul Patto, che è positivo, e la necessità di battersi contro il nazismo se Hitler scatena la guerra". Poi anche il compassato Togliatti sbracherà, e scriverà alcune delle più vergognose pagine sul socialfascismo delle democrazie occidentali.

 Ventotene nella tempesta

 A Ventotene, dove è rifugiato il Gotha del comunismo italiano, è la tempesta. Oltre Terracini, Secchia, Scoccimarro, la Ravera, ci sono in quell' isola più di 1700 quadri di partito e una minoranza qualificata di non comunisti. Fra i comunisti il dibattito fu intenso, drammatico. L' unico a dare una risposta, dura e immediata, contro l' accordo Molotov-Ribbentrop fu Terracini. Per lui quel Patto era innaturale e scellerato e non avrebbe impedito a Hitler di attaccare l' Urss come aveva scritto nel suo Mein Kampf. Ma il dissenso di Terracini, e in parte della Ravera, andava oltre il patto germano-sovietico. Mauro Scoccimarro, - dirigente settario e molto pieno di sé - sosteneva, insieme ad altri compagni molto autorevoli, che una vittoria della coalizione anglo-francese sui nazisti non sarebbe stata di per sé una vittoria della democrazia. C' era la tendenza - dirà Terracini in un libro-intervista curato da Arturo Gismondi - "a vedere nelle correnti democratico-borghesi il nemico peggiore, il più insidioso, o l' ultimo". Per Scoccimarro e Secchia, aggiunge Terracini, "il dato significante fra i diversi regimi, democratici o fascisti, era che tutti e due si basavano sullo sfruttamento, e dunque sulla dittatura di classe della borghesia". La posizione di Camilla Ravera, apparentemente un po' più sfumata, era in sostanza in piena sintonia con quella di Terracini. Anche lei aveva espresso qualche dubbio sul patto Molotov-Ribbentrop. Anche lei, come Terracini, era dell' idea che in previsione della caduta del fascismo si dovevano preparare le basi per una coalizione di forze antifasciste. Una coalizione antifascista, sosteneva Terracini, che avrebbe dovuto preparare il terreno per soluzioni politicamente più avanzate. Con queste idee gramsciane in testa, Terracini e la Ravera - all' inizio del 1943 - sono definitivamente fuori del partito. E proprio agli inizi del 1943 i due "reprobi" preparano separatamente, due ricorsi da sottoporre all'attenzione dell'Ufficio politico, di Togliatti e dell'Internazionale. Terracini conclude il suo esposto parlando di un "brutto episodio che non ha nulla a che vedere con l' avanguardia organizzata del proletariato italiano". La Ravera invita invece l' Ufficio politico alla prudenza, a non prendere decisioni affrettate, a non "pregiudicare il mio prezioso diritto alla milizia nel partito con una conclusione non graniticamente fondata". Non sappiamo se e quando i ricorsi di Terracini e della Ravera - scritti nel febbraio del 1943 - siano stati conosciuti da Togliatti. Nella lettera indirizzata a Bianco - scritta il 10 febbraio del 1943 - Togliatti si riferisce sicuramente alle polemiche violente che a Ventotene avevano investito Terracini e la Ravera provocando, nelle settimane a cavallo tra il 1942 e il 1943, la loro definitiva espulsione, peraltro non ufficializzata e conosciuta solo da pochissimi compagni. Che fare ora? E' quello che si chiede Togliatti dal freddissimo rifugio di Ufa. La lettera che egli manda a Vincenzo Bianco perché sia possibilmente trasmessa al referente in Italia "Quinto" - uno dei nomi di battaglia di Umberto Massola - è un vero classico del repertorio togliattiano. Anzitutto il capo del Pci si protegge le spalle affermando che ogni posizione trotzkista deve essere combattuta con estrema decisione. Ma subito dopo Togliatti arriva al cuore del problema e si chiede: dobbiamo arrivare all' espulsione di Terracini come propone "Tistino" (Togliatti vuole probabilmente riferirsi a "Quintino", nome di battaglia di Scoccimarro), oppure dobbiamo salvaguardare la figura del compagno Terracini in vista dei compiti che attendono il Pci dopo la caduta del fascismo? Togliatti non sembra aver dubbi. Dopo averne sottolineato i difetti (cocciutaggine, orgoglio smisurato, ostinazione nel sostenere le proprie idee anche in minoranza), Togliatti mette bene in chiaro che però bisogna fare il possibile perché Terracini non esca dal carcere "come il dirigente di un gruppo di opposizione in lotta con il partito". La lettera è cosparsa di giudizi velenosi. Il più cattivo riguarda il dogmatico Scoccimarro che non si sarebbe dimostrato, al contrario di Terracini, un esempio di combattività in carcere, e che spinge il suo settarismo fino al ridicolo. Un altro, e la cosa sorprende un po', riguarda Camilla Ravera che, scrive Togliatti, "non vale niente, né come dirigente politico, né come organizzatore. Eccelle solo come intrigante". Ma come, proprio Camilla Ravera, la "maestrina di Acqui", l' intellettuale del gruppo "Ordine nuovo", la più dotata politicamente, in carcere da quasi tre lustri, è liquidata come una poco di buono, capace solo di tessere intrighi? Eppure, quell' "intrigante" era stata - nella drammatica crisi del 1929 - l'unica ad appoggiare incondizionatamente Togliatti contro i "giovani" Longo e Secchia, a rincuorarlo, a convincerlo a non abbandonare la politica di partito.

Verso la ' svolta' 

L' impressione che si ricava dalla lettera è poi che Togliatti abbia perfettamente capito che le idee di Terracini non sono più tabù ma cominciano anzi a collimare con le sue. Dal suo eremo di Ufa Togliatti può immaginare il clima, pesante e intollerante, che si è instaurato nel collettivo di Ventotene, dove spadroneggiano Longo, Secchia e Scoccimarro che non hanno mai amato la politica delle grandi alleanze e gli accordi con i partiti democratici e borghesi. Proteggere e salvare Terracini è per Togliatti un modo per rafforzare quella politica che si tradurrà - nella primavera del 1943 - nella "svolta" di Salerno. In una lezione tenuta agli allievi della scuola di Kusnarienko, non lontana da Ufa e dove studiano alcuni italiani, Togliatti ribadisce questi concetti. Bisogna evitare, dice, "l' errore di considerare l' attuale alleanza con le forze democratiche dell' Occidente sinceramente antifasciste, come l' Inghilterra, la Francia e gli Stati Uniti, come qualcosa di passeggero. Non dobbiamo mettere sullo stesso piano il fascismo e le democrazie borghesi. Questa alleanza non è un trucco; ma risponde alle più profonde esigenze della classe operaia". Era in sostanza quello che Terracini non poteva dire nel 1939 e che invece, nell' inverno del 1943, al culmine della "guerra patriottica" combattuta nel nome di Stalin, è diventata una strategia politica finalmente praticabile. C' è poi nell' aria la sensazione che il fascismo abbia le ore contate. Gli alleati ammassano truppe in Nord Africa per lo sbarco in Italia. Il Comintern sta vivendo, in penombra, i suoi ultimi giorni prima del definitivo scioglimento. Dopo trent'anni di esilio Togliatti lascia, come un abito sdrucito il vecchio nome di Ercoli. Sta per aprirsi il fronte italiano, e Togliatti avverte che il combattivo Terracini, uno dei dirigenti più intelligenti espressi dal Pci. potrebbe tornargli utile.

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