mercoledì 17 settembre 2014

Il primo giorno di scuola

Chiara Saraceno

Le promesse mancate del primo giorno di scuola 

la Repubblica, 16 settembre 2014
INIZIO d’anno in una scuola elementare di Torino, città che si fregia della definizione di “educativa”. Stremati dalla lunga estate i genitori si rallegrano che, almeno per chi non frequenta la prima, già dal primo giorno funzioni il tempo pieno.
MERAVIGLIE di una scuola ben organizzata. Peccato che ci sia subito la prima doccia fredda: la palestra è inagibile perché richiede manutenzione e non ci sono soldi per farla, con buona pace delle promesse di Renzi di investire prioritariamente nell’edilizia scolastica. Se si vorrà far fare ginnastica ai bambini, occorrerà chiedere ospitalità a qualche scuola vicina, rassegnandosi a prendere le ore lasciate libere dalle classi di questa e perdendo prezioso tempo per andare e venire tra una scuola e l’altra (certo, anche questo è un modo di fare esercizio motorio…).
Non è tutto, però. Posto che si trovino gli incastri giusti tra le due scuole nella fruizione della palestra, i bambini “ospiti” potranno fruirne effettivamente solo se, per ogni classe, accanto alla maestra ci sarà un genitore disposto ad accompagnare i bambini nel tragitto di andata e ritorno.

Non è chiaro come si pensi di trovarlo: chiedendo che i genitori a turno prendano mezza giornata di permesso o ferie? Costringendo chi non ha un lavoro, perché casalinga o disoccupato/a, a mettersi a disposizione? Precettando qualche nonno/a? Ma non è finita qui. In una quinta elementare finalmente la classe quest’anno ha entrambe le maestre di ruolo, dopo quattro anni di sistematico turn over della maestra di italiano. O meglio, le ha sulla carta. La maestra appena assunta in ruolo due giorni prima dell’inizio della scuola è andata in congedo di maternità anticipato. Per ora, quindi, tempo pieno, ma, come gli anni scorsi, attesa non si sa quanto lunga di un/una supplente, in più niente ginnastica. Questo in una classe in cui un buon numero di scolari è, non solo straniero, ma da poco in Italia; quindi avrebbe più bisogno di continuità nell’insegnamento. È questa la #buona scuola che è stata promessa? Il rispetto dovuto ai bambini, l’attenzione necessaria per non spegnere in loro la fiducia nella scuola e l’entusiasmo di imparare cose nuove? Ovviamente, la maestra in maternità ha tutti i diritti e probabilmente avrà tirato un sospiro di sollievo nell’apprendere che poteva mettersi in congedo di maternità senza timore di perdere punti in graduatoria come quando era supplente. Sicuramente avrà buoni motivi di salute per averlo chiesto anticipato e il medico che glieli ha certificati avrà agito con scrupolo e non chiudendo un occhio. Sono anche sicura che il Comune di Torino, o qualsiasi ente sia responsabile dell’edilizia scolastica, ha avuto priorità più urgenti (tetti che crollano, servizi igienici rotti e simili) di una palestra su cui concentrare le risorse disponibili per la manutenzione (se pur sono arrivate). Ciò non impedisce di rimanere sconfortati di fronte allo scarto tra le promesse e la realtà e al semplicismo delle prime.
Lasciamo pure stare la questione della palestra, anche se poi è inutile lamentarsi che i bambini italiani fanno poco moto e praticano poche attività sportive, se anche quelle che dovrebbero fare a scuola dipendono dalla disponibilità di tempo dei genitori, oltre che dal fatto che un’altra scuola possa cedere parte delle proprie attrezzature, senza ridurre il servizio per i propri studenti. La faccenda della maestra di ruolo in maternità (una eventualità non remota in una professione al 90% femminile) mostra come la stabilizzazione, l’immissione in ruolo dei supplenti possa essere un passaggio necessario e doveroso, specie per coloro che fanno supplenze da anni, talvolta nella stessa scuola e stessa classe. Ma non risolve la questione di come garantire agli studenti continuità e qualità didattica e neppure il diritto minimo ad avere un insegnante annuale stabile, se non il primo, almeno il secondo giorno di scuola. Su questo punto anche i sindacati sono troppo silenti. Eppure, se non lo si affronta, insieme a quello della qualità dell’insegnamento, il nostro continuerà ad essere un sistema scolastico che troppo si affida alla supplenza non solo degli insegnanti “supplenti”, ma delle famiglie.
Se si può chiudere un occhio sulle richieste di contributi per il materiale didattico o la carta igienica; si possono imbiancare i muri delle aule e tagliare l’erba in giardino; ma non si può accettare che la solidità dell’istruzione dei bambini e ragazzi sia affidata alla capacità e disponibilità delle famiglie di integrarla quando questa è mancante, o intermittente. In questo modo la scuola, invece di essere strumento di compensazione delle disuguaglianze, le conferma, quando non le acuisce.

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Renzo Paris 
testo pubblicato su Facebook
15 settembre 2014

Celano, primo settembre 1950. Mia madre mi aveva abbottonato il grembiulino blu e mi aveva chiuso la cartella di cartone con un panino con la frittata. Appena fuori casa un fulmine cadde sulla Liscia, la montagna difronte alla mia abitazione. Avevo fatto colazione con latte appena munto dalla mucca della vicina e bollito. Dovevo percorrere con un mio amichetto mezzo chilometro di strada per raggiungere la scuola elementare: una stalla di cavalli, con uno stanzone libero, adibito a scuola. Nell'ultimo banco c'era un ragazzo di quindici anni che pare avesse ripetuto la prima elementare a catena. La maestra scese da un autobus di Avezzano. E dopo l'appello, ci mandò a fare legna nella campagna accanto, provviste per il freddo che si avvicinava. Quella scuola non aveva riscaldamento e ogni tanto era rallegrata dal nitrito di un cavallo. Ero contento così.

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