lunedì 27 ottobre 2014

Dylan Thomas, un senso antico della parola



Dylan Thomas nasce nel 1914 a Swansea, in Galles, figlio di un professore di inglese della Grammar School locale (che Dylan frequenta dal 1925 al 1931), e sin da giovanissimo manifesta una sorprendente inclinazione alla poesia. Nel ’34 pubblica la prima raccolta di versi, Diciotto poesie, che scuotono l’ambiente letterario londinese, sorprendendo critici e poeti già affermati. Nei suoi versi svela tutto quel mondo poetico che ha fatto di lui un mito: la nascita, l’amore e la morte, la natura; un linguaggio magico, a volte oscuro, che fonde la tradizione dei bardi alla poesia visionaria inglese (si può fare, per esempio, il nome di Yeats). Nel 1940 escono i racconti autobiografici di Ritratto dell’artista da cucciolo e nel 1946 il libro che lo consacra definitivamente tra i massimi poeti di lingua anglosassone: Morti e ingressi.
Dylan Thomas, sposato con Kathleen (che ne condivise gli alti e bassi esistenziali, accompagnandolo, tra l'altro, nel tunnel dell'etilismo durante i periodi di miseria più nera), ebbe tre figli. E' vissuto tra l’Inghilterra e l’America, barcamenandosi tra diversi lavori quali il giornalista, lo sceneggiatore, l’attore. Distrutto dall’alcol, è morto a New York nel 1953.
 
http://www.apalweb.it/dylan_thomas_scheda.htm


Dai sospiri

Dai sospiri nasce qualcosa,
Ma non dolore, questo l’ho annientato
Prima dell’agonia; lo spirito cresce,
Scorda, e piange;
Nasce un nonnulla che, gustato, è buono;
Non tutto poteva deludere;
C’è, grazie a Dio, qualche certezza:
Che non è amore se non si ama bene,
E questo è vero dopo perpetua sconfitta.

Dopo siffatta lotta, come il più debole sa,
C’è di più che il morire;
Lascia i grandi dolori o tampona la piaga,
Ancora a lungo egli dovrà soffrire,
E non per il rimpianto di lasciare una donna in attesa
Del suo soldato sporco di parole
Che spargono un sangue così acre.

Se ciò bastasse, se ciò bastasse a dar sollievo al male,
Il provare rimpianto quando quello è perduto
Che mi rendeva felice nel sole,
Quanto felice il tempo che durava,
Se ambiguità bastassero e abbondanza di dolci menzogne,
Potrebbero le vacue parole sostenere tutta la sofferenza
E guarirmi dai mali.

Se ciò bastasse, osso, tendine, sangue,
Il cervello attorcigliato, i lombi ben fatti,
Cercando a tastoni la materia sotto la ciotola del cane,
L’uomo potrebbe guarire dal cimurro.
Ché tutto quello che qui va dato, io l’offro:
Briciole, stalla, e cavezza.

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Out of the sighs a little comes,
But not of grief, for I have knocked down that
Before the agony; the spirit grows,
Forgets, and cries;
A little comes, is tasted and found good;
All could not disappoint;
There must, be praised, some certainty,
If not of loving well, then not,
And that is true after perpetual defeat.

After such fighting as the weakest know,
There's more than dying;
Lose the great pains or stuff the wound,
He'll ache too long
Through no regret of leaving woman waiting
For her soldier stained with spilt words
That spill such acrid blood.

Were that enough, enough to ease the pain,
Feeling regret when this is wasted
That made me happy in the sun,
How much was happy while it lasted,
Were vagueness enough and the sweet lies plenty,
The hollow words could bear all suffering
And cure me of ills.

Were that enough, bone, blood, and sinew,
The twisted brain, the fair-formed loin,
Groping for matter under the dog's plate,
Man should be cured of distemper.
For all there is to give I offer:
Crumbs, barn, and halter. 

1930-32 Notebook
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Nelle sue liriche quasi sempre in versi e strofe tradizionali, sembra prevalere una nota dolente con vaghe risonanze cosmiche, in cui è agevole avvertire le caratteristiche del temperamento celtico. Insidiata da un continuo pericolo di disintegrazione, priva di ogni nesso logico, con una resa fantastica non sempre adeguata alla ricchezza delle immagini e con una posizione sostanzialmente polemica alla sua radice, l'opera poetica del Thomas ha nondimeno possibilità di sbocco ed esercita certamente una fortissima influenza sulla poesia britannica contemporanea. (Salvatore Rosati, Treccani 1949)

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