domenica 16 novembre 2014

Jazz e socialismo reale


Diego Giachetti
Venti dell'Est. Il 1968 nei paesi del socialismo reale
Manifestolibri, Roma 2008

Se le merci e i flussi migratori e turistici non erano riusciti a scalfire il blocco orientale, la musica jazz, rock e beat, proveniente dall'occidente capitalistico – con tutti gli stili di vita giovanili nuovi connessi a questi fenomeni musicali e comportamentali –, si diffuse nelle società dell'Est europeo e nell'Urss a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, creando le premesse alla formazione di un mondo giovanile per molti versi simile a quello occidentale. Per questa ragione la rivolta mondiale, giovanile e studentesca del '68 poté così attraversare "gli oceani e i confini dei sistemi sociali, e produrre simultaneamente movimenti di protesta nelle società più diverse, dalla California al Messico, alla Polonia, alla Jugoslavia e alla Cecoslovacchia". In questi ultimi tre paesi la protesta giovanile si trasformò, come nell'occidente, da moda e contrasto generazionale sugli stili di vita, in critica politica, cioè in richieste di riforme innovative e profonde dei sistemi di potere. Negli altri paesi, invece, la protesta rimase confinata nel campo comportamentale e culturale e si scontrò – spesso duramente – col potere, con le istituzioni, col partito e le organizzazioni giovanili ad esso collegate, ma non divenne movimento politico organizzato. In questo senso il Sessantotto non ci fu, non venne, mancò, malgrado si registrasse la presenza di un vivace movimento giovanile già sul finire degli anni Cinquanta e per tutto il decennio dei Sessanta. Casi evidenti di "sessantotti" non esplosi si verificano nella Repubblica Democratica Tedesca, in Urss e, in misura minore, in Bulgaria e in Romania.
Osservando quel mondo nel suo insieme, alla luce della categoria generazionale, colpisce la scoperta di stili di vita, di atteggiamenti, di sensibilità proprie dei movimenti giovanili dei paesi dell'Est, condivisi con quelli dei loro coetanei occidentali. Gli studenti polacchi e cecoslovacchi
assomigliano a quelli occidentali e vestono come loro. Quando si incontrano, si riconoscono: per il modo in cui si manifesta, le comuni in cui si vive assieme, i sit-in, le discussioni, le assemblee nelle Università, e soprattutto l'atteggiamento nei confronti del potere. Un potere che viene contestato, prima ancora di ritenerlo ingiusto o dannoso, perché non gli si dà legittimità, una legittimità morale prima che politica; è una classe dirigente che viene disprezzata perché rappresenta il coagulo degli adulti, cioè di quel mondo che è considerato nel suo insieme una controparte. 
[...]
L'esplosione della beatlemania, dopo il 1964, coinvolse maggiormente i giovani e si presentò subito come un fenomeno interclassista e transnazionale. Furono coinvolti i soggetti giovanili, indipendentemente dalla loro collocazione sociale, e il loro "sentirsi giovani" superò le distinzioni nazionali che esistevano anche tra i paesi del blocco socialista. Come in Occidente, più dell'ideologia, della collocazione di classe, dell'identità nazionale o etnica, poté tra i giovani dell'Est il beat-look. Dall'Urss, dove i fans dei Beatles erano detti bitlovka, alla Polonia, dove venivano chiamati bitel, agli altri paesi Euro-orientali, fu un diffondersi di giacche senza risvolto, di cappotti tagliati e colorati come quelli del gruppo inglese; di capelli lunghi tagliati a caschetto, di stivaletti a punta e col tacco, di bottoni vistosi e lucenti. I Beatles offrirono per molti un modello, il primo che si contrapponesse così vistosamente, nello stile di vita ma non nell'ideologia, a quello proposto dalle organizzazioni giovanili legate ai partiti comunisti e socialisti al potere e alle istituzioni statali. E offrirono anche, come stava avvenendo ad esempio in Italia proprio in quel periodo, ispirazione per tanti giovanissimi musicisti rock e beat, molti dei quali iniziarono la loro carriera imitandoli.







Régis Debray 
De la cohésion à l'arrogance, les forces et faiblesses du monde de l'Ouest
Le Monde, 19 luglio 2014


Malgré la décolonisation et le monde multipolaire, l'Occident a donc gagné la bataille pour l'hégémonie culturelle ?

L'Ouest a gagné la guerre froide par le jazz, les Beatles et les seins nus autant que par la force financière et militaire. Aujourd'hui, les dix premières agences de pub sont occidentales. Les prix Nobel et les brevets assurent à l'Occident une formidable suprématie. Les rapports de puissance ne sont pas réductibles à des rapports de forces matériels et quantifiables. Le fait que la Chine redevienne la première puissance économique mondiale en 2030, comme elle l'était en 1830, ne signifie pas qu'elle devient la première puissance hégémonique.
Les Etats-Unis n'ont même pas besoin d'avoir des instituts culturels à l'étranger. Au Vietnam, les GI ont perdu, mais Coca-Cola a gagné la guerre. L'hégémonie, c'est quand une domination est rendue non seulement acceptable mais désirable par les dominés. M. Sarkozy était fier d'arborer le tee-shirt NYPD - de la police de New York - , et M. Hollande est fier qu'Obama lui mette la main sur l'épaule.

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