domenica 2 novembre 2014

Leopardi, la società stretta

Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'italiani
1824

... Il vincolo e il freno delle leggi e della forza pubblica, che sembra ora essere l’unico che rimanga alla società, è cosa da gran tempo riconosciuta per insufficientissima a ritenere dal male e molto più a stimolare al bene. Tutti sanno con Orazio, che le leggi senza i costumi non bastano, e da altra parte che i costumi dipendono e sono determinati e fondati principalmente e garantiti dalle opinioni. In questa universale dissoluzione dei principii sociali, in questo caos che veramente spaventa il cuor di un filosofo, e lo pone in gran forse circa il futuro destino delle società civili e in grande incertezza del come elle possano durare a sussistere in avvenire, le altre nazioni civili, cioè principalmente la Francia, l’Inghilterra e la Germania, hanno un principio conservatore della morale e quindi della società, che benché paia minimo, e quasi vile rispetto ai grandi principii morali e d’illusione che si sono perduti, pure è d’un grandissimo effetto.
Questo principio è la società stessa. Le dette nazioni, oltre la società generalmente presa, cioè il convitto degli uomini per provvedere scambievolmente ai propri bisogni, e difendersi dai comuni danni e pericoli, hanno quel genere più particolare di società che suole essere chiamato con questo medesimo nome ridotto a significazione più stretta, e consiste in un commercio più intimo degl’individui fra loro, e massime di quelli, che dispensati dalla loro condizione dal provvedere coll’opera meccanica delle proprie mani alla loro e all’altrui sussistenza e forniti del necessario alla vita col mezzo delle fatiche altrui, mancando de’ bisogni primi, vengono naturalmente nel secondo bisogno, cioè di trovare qualche altra occupazione che riempia la loro vita, e alleggerisca loro il peso dell’esistenza, sempre grave e intollerabile quando è disoccupata. Questa tal società che è principalmente fra questi tali uomini, ha per fine il diletto e il riempire il vuoto della vita cagionato dalla mancanza de’ bisogni primi, e per causa ha i detti bisogni secondi, come quell’altro più largo e più comun genere di società ha per origine i primi bisogni e la naturale necessità. Per mezzo di quella società più stretta, le città e le nazioni intiere, e in questi ultimi tempi massimamente, l’aggregato eziandio di più nazioni civili, divengono quasi una famiglia, riunita insieme per trovare nelle relazioni più strette e più frequenti che nascono da tale quasi domestica unione, una occupazione, un pascolo, un trattenimento alla vita di quelli, che senza ciò menerebbero il tempo affatto vuoto, e tali sono, rigorosamente parlando, tutti gli uomini, salvo gli agricoltori e quelli che ci procurano il vestito di prima necessità. Coll’uso scambievole gli uomini naturalmente e immancabilmente prendono stima gli uni degli altri: cioè non già buona opinione, anzi questa è tanto minore in ciascuno verso gli altri generalmente, quanto il detto uso e quindi la cognizione degli uomini è maggiore; ma la stretta società fa che ciascuno fa conto degli uomini e desidera di farsene stimare (questa è propriamente la stima che si concepisce di loro) e li considera per necessarii alla propria felicità, sì quanto ad altri rispetti, sì quanto a questa soddisfazione del suo amor proprio che ciascuno in particolare attende desidera e cerca da essi, da’ quali dipende, e non si può ricever d’altronde. Questo desiderio è quello che si chiama ambizione, vincolo e sostegno potentissimo della società che non d’altronde nasce che da essa società ridotta a forma stretta, poiché fuor di essa l’ambizione non ha luogo alcuno nell’uomo, e l’amor proprio naturale non prenderebbe mai questo aspetto, che pur sembra totalmente suo proprio ed essenziale e sommamente immediato. L’ambizione può aver varie forme e vari fini.

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Gaspare Polizzi
Giacomo Leopardi in Il Contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia (Treccani 2012)

Sarà il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani (1824) lo scritto che intreccerà la teoria sociale di Leopardi a una trattazione storica e antropologica della modernità finalizzata a descrivere i costumi degli italiani. Nelle moderne società strette sono scomparse le illusioni che cementavano l’unione comunitaria, come quella patriottica e mitico-religiosa, ma permangono – è il caso delle più progredite tra le nazioni europee, come l’Inghilterra e la Francia –, se pure in forma affievolita, illusioni legate alla stima e alla dignità reciproche e confluenti nella cosiddetta opinione pubblica. Non così in Italia, dove la tendenza all’individualismo egoistico ha raggiunto, anche per cause storico-politiche, una tale estensione da produrre una vera e propria forma di cinismo sociale, che ha cancellato la possibilità stessa di una sfera dell’opinione pubblica, riducendo la socialità a passatempo, svago o superficiale espressione religiosa: «Il passeggio, gli spettacoli, e le Chiese sono le principali occasioni di società che hanno gl’italiani, e in essi consiste, si può dir, tutta la loro società», ed è per questo che «dell’opinione pubblica gl’italiani in generale, e parlando massimamente a proporzione degli altri popoli, non ne fanno alcun conto» (G. Leopardi, Tutte le poesie e tutte le prose, a cura di L. Felici, E. Trevi, 1997, p. 1015).

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