domenica 15 febbraio 2015

La Libia terra di conquista per le truppe del Califfato

Renzo Guolo
Perché l’Is vuole la Libia
la Repubblica, 14 febbraio 2015

LA LIBIA è sempre più terra di conquista dell’Is. Le milizie che hanno giurato fedeltà a al Baghdadi conquistano anche Sirte. Dopo Derna, dove dallo scorso autunno le milizie del Consiglio della Shura hanno proclamato la loro adesione al Califfato, Sirte è la seconda città libica a finire sotto i vessilli nerocerchiati. Ma l’influenza dell’Is si estende ormai a Bengasi, sino a poco tempo fa incontrastato regno della qaedista Ansar al-Sharia. Ora, sotto la possente spinta simbolica del Califfato, molti dei seguaci di Ansar cominciano a affluire tra i ranghi dell’Is.
Un processo analogo a quanto accaduto in Siria, con il progressivo svuotamento di Al Nusra a favore dell’Is. A Sirte la radio trasmette già discorsi del Califfo Nero, sintomo del nuovo e cruento ordine che si annuncia. E, come ha mostrato anche l’attacco all’hotel Corinthia, gli jihadisti agiscono anche a Tripoli.
Che la situazione sia precipitata lo dimostra non solo l’invito dell’ambasciata italiana ai nostri connazionali ad abbandonare il paese; ma anche la decisione dell’Egitto di far evacuare i propri cittadini. Le immagini da cronaca di una morte annunciata pubblicate sulla rivista Dabiq , con gli incapucciati in nero che fanno sfilare sulla spiaggia di Sirte i ventuno cristiani copti rapiti nei mesi scorsi, definiti come da copione “crociati”, fanno capire che ormai anche l’Egitto è un bersaglio dell’Is. Anzi, un doppio nemico, politico e religioso. Perché il Cairo appoggia e fornisce supporto logistico e aereo alla milizie di Al Hattar, il generale che vuole fare piazza pulita di ogni gruppo islamista in Libia; perché Al Sissi, nemico giurato degli jihadisti in riva al Nilo, vede nei copti un pilastro della sua diga antislamista. La cattura dei copti il Libia viene presentata dai nerocerchiati con la necessità di vendicare le donne musulmane, a loro avviso, vittime del «complotto della chiesa egiziana». Una vicenda annosa, quella delle donne cristiane convertite all’islam, che, secondo la propaganda islamista, sarebbero poi state costrette dalla Chiesa copto-ortodossa a rinnegare la loro conversione. Ma pur sempre una questione sensibile in Egitto, che viene non a caso agitata per rafforzare influenza e reclutamento dell’Is.
In quel grande buco nero che è la Libia, Stato fallito ormai preda delle sue migliaia di milizie armate l’una contro l’altra, il Califfato guadagna terreno. A poche centinaia di miglia dall’Italia e dai confini dell’Europa. Un pericolo enorme per l’Occidente. Non solo da quella sponda i traffici di migranti possono essere gestiti, sotto il controllo jihadista, come attiva forma di destabilizzazione dei paesi europei, Italia in testa. Con le tante katibe che controllano le coste della Tripolitania al servizio, in una logica di convenienza e sopravvivenza, degli obiettivi strategici del Califfo Nero. Ma il Califfato in riva al Mediterraneo può anche diventare il magnete per gli jihadisti del Magheb, dell’Africa subsahiarana, dell’area egiziana e sudanese. Oltre che un mito politico per la gioventù musulmana radicalizzata in Europa. Una sorta di Somalia davanti alla Sicilia. Gli uomini in nero sullo sfondo azzurro del mare non sarebbero, allora, solo un mero effetto cromatico ma una seria minaccia.
Che fare, dunque? Intervenire? E come? Una missione di peace-keeping sotto mandato Onu, come ipotizza il governo italiano, appare problematica in un contesto in cui gli schieramenti, le alleanze, gli interessi di fazioni e milizie locali sono assai mutevoli. Le forze inviate dal Palazzo di Vetro potrebbero diventare un bersaglio senza produrre effettivi risultati politici. Qui più che mantenere la pace, bisognerebbe imporla. Ma un’operazione di peace-enforcement, un intervento militare sotto forma dell’ennesima “coalizione dei volenterosi” di turno, sarebbe ancora più problematica senza avere un realistico progetto strategico per il dopo. Difficilmente Stati Uniti e Europa potrebbero assumersi un simile rischio. Il Califfato, però, e’ ormai alle porte e urge una risposta a questo dilemma tragico. La vicenda riguarda innanzitutto l’Italia, se non altro per i risvolti storici e geopolitici che la legano all’antica Quarta sponda, ma non solo. Più che mai qui i confini sono i confini di tutti. In gioco c’è la sicurezza delle società europee e gli equilibri nel Mediterraneo. Tergiversare sarebbe catastrofico. La questione libica richiede un intervento, e una precisa strategia, da parte della comunità internazionale. Dopo, potrebbe essere tardi.

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