giovedì 23 luglio 2015

Ricorditi di me che son la Pia






 Pia de' Tolomei

Personaggio della Commedia (Purgatorio, V, 130-136) di Dante Alighieri (1265-1321). Gentildonna senese, della potente famiglia dei Tolomei, andata sposa – secondo quanto raccontano gli antichi commentatori – a un signorotto guelfo del castello maremmano della Pietra, Nello d’Inghirano dei Pannocchieschi, che l’avrebbe fatta uccidere, defenestrandola, per gelosia o per contrarre nuove nozze, appare ultima tra gli spiriti dei negligenti «per forza morti» sulla scena del canto quinto del Purgatorio, dopo Jacopo del Cassero e Buonconte da Montefeltro. Un’apparizione breve, ma intensa, segnata da un discorso epigrafico di forte suggestione. Dopo aver chiesto a Dante con pudica dolcezza di ricordarsi di pregare per la sua anima («ricorditi di me, che son la Pia») quando sarà «tornato al mondo / e riposato de la lunga via», ella compendia in una terzina dai toni elegiaci la sua tragica sorte: i luoghi della vita e della morte racchiusi in un verso dalla chiastica antitetica lapidarietà («Siena mi fé, disfecemi Maremma»), l’evocazione liricamente sfumata del rito nuziale, senza sdegno e rancore alcuno, se non una velata amarezza, verso colui che ben sa, lo sposo, colto per contrasto, con trepida emozione, nell’atto cruciale di metterle l’anello al dito, come promessa – poi violata – di fedeltà («salsi colui che ‘nnanellata pria / disposando m’avea con la sua gemma»).
Personaggio di grande intensità poetica, la Pia suggella degnamente con la sua pacata e dolce femminilità, con la sua delicata e vereconda presenza il discorso sulla morte violenta, sulla tragica separazione dell’anima dalla fisicità terrena, iniziato da Jacopo del Cassero e proseguito da Buonconte da Montefeltro, riportandolo con le sue soavi parole a quel clima di pacificata dolcezza con cui le anime dei negligenti espianti, all’inizio del canto, intonano il salmo penitenziale Miserere.
Letteratura europea Utet 


"Deh, quando tu sarai tornato al mondo,
e riposato de la lunga via",
seguitò 'l terzo spirito al secondo,

"Ricorditi di me, che son la Pia;
Siena mi fé, disfecemi Maremma:
salsi colui che 'nnanellata pria

disposando m'avea con la sua gemma".

Purg. V, 130-136


Daniele Mattalia (1960), Purgatorio V, 135-136
salsi: sàllosi, se lo sa, come mi abbia «disfatta» Maremma, come io sia morta (ma si guarda bene dal dirlo, o dal correggere le false voci fatte correre a suo carico. È un accusa velata, ma, nella sostanza, precisa: la morte – così par si debba interpretare il passo che segue – le venne dal legittimo marito, da colui che per titoli legali e sacramentali più era tenuto ad averla cara e a proteggerne la vita. La voce della Pia è, come abbiam detto, dolce e trepida, ma forse la fortuna che l'episodio ha avuto nell'età romantica ci induce ancora in inganno, avverte il Porena, facendosi sentire nelle ultime parole della donna una nota d'amore e di dolce-dolente nostalgia al ricordo del marito e delle nozze: rancore non c'è, indubbiamente, e la disposizione della Pia pare al perdono; ma, pur in modo velato, la messa a punto della responsabilità è, dicevamo, precisa. Dante, del resto, non afferma affatto che la Pia fosse vittima pura e innocente: la donna è in una folla di anime di morti per forza e peccatori infino all'ultim'ora.colui... gemma: è ormai abbandonata l'interpretazione dovuta a confusione con un'altra Pia senese, secondo la quale la Pia verrebbe a dire di essere andata sposa a Nello in seconde nozze; leggendosi: colui che mi aveva «disposato» con la sua gemma, me, pria, innanellata, già sposa di un altro. La Pia dà rilievo, per le già dette ragioni, al carattere legale e sacramentale del vincolo con cui Nello si era a lei legato; e la cui rottura costituisce un reato tanto più grave e comunque inescusabile (si ricordi quanto Francesca dice del marito in Inf., V, 106): «innanellare» e «disposare», avverte il Torraca, sono termini di una formula che ricorre nei documenti e negli scrittori del tempo: «cum annulo aureo disponsavit» si legge in un documento ravennate del 1298 (pubbl. da S. Muratori nel 1913): il «dì dell'anello», «dare» o «mettere l'anello», erano, informa sempre il Torraca, espressioni d'uso corrente in Toscana. Anche il Boccaccio, Decam., X, 8: «io e colle debite parole e con l'anello l'ebbi sposata». Si trattava, informa il Del Lungo, del rito formale e impegnativo equivalente a quello che oggi chiamiamo fidanzamento ufficiale, e che consisteva nel dare l'anello alla donna disposando o «sposando», cioè impegnandosi solennemente al matrimonio. Il quale poi poteva seguire a breve o, come accadeva a quei tempi di precocissimi fidanzamenti (cfr. Par., XV, 104-105), anche a lunga scadenza. Seguo il Torraca nell'interpunzione del passo, lasciando isolato il pria, che rende più significante l'allusione: colui che, pria, una volta, prima (di fare quanto poi fece), mi aveva innanellata con la sua gemma (con la gemma che mi faceva sua, e all'inverso) disposando, legandosi a me con la solenne e rituale promessa. Ch'è poi una maliosamente bella, ma anche precisa circonlocuzione per affermare che l'uccisore fu il suo legittimo marito: una formale accusa, né più né meno. E ancora una volta, piaccia o non piaccia, Dante ha fatto credito alle due voci peggiori: di una Pia infedele, e di un marito assassino. Quinti canti; Inf.-Purg.; Francesca-Pia.



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