lunedì 7 settembre 2015

Zero Diciotto, un numero per un corpo senza vita

Marco Belpoliti
Vivi e morti involucri vuoti
La Stampa, 28 agosto 2015

Che cos’è un corpo? L’unica cosa che abbiamo. Da quando l’anima non è più una realtà presente – chi usa ancora la frase: esalare l’anima? –, da quando non è più neppure pneuma, soffio, ma solo materia, se non proprio materiale, il corpo è tutto quello che possediamo. Per questo lo curiamo in tutti i modi, cerchiamo di tenerlo in forma, efficiente, elastico, giovane. Il corpo è la vera moneta di scambio nella vita contemporanea. Il capitale umano è prima di tutto composto di corpi. Ma quando i corpi sono corpi morti, come accade sul fondo dell’imbarcazione che trasporta i migranti verso le rive dell’Europa, o quando sono stipati dentro un camion con cella frigorifera sulla cui fiancata troneggia l’immagine di una fetta d’insaccato di pollo, allora cosa sono i corpi umani? Involucri vuoti, come le spoglie degli insetti.

Primo Levi in una pagina memorabile di Se questo è un uomo parla di un corpo che non c’è più, il corpo di un deportato, un musulmano [parola che nel gergo del Lager non indica un islamico, indica un prigioniero vicino alla morte]. Null Achtzehn, colui che non è un uomo, ma sta per diventare un corpo morto, puro residuo da eliminare: “Nulla di più che un involucro come certe spoglie di insetti che si trovano in riva agli stagni, attaccate con un filo ai sassi, e il vento le scuote”. Il musulmano del Lager è destinato entro breve tempo alla camera a gas e quindi al crematorio: una scoria.

Null Achtzehn, Zero Diciotto, dalle ultime cifre del numero di matricola, è un corpo vuoto a un passo dalla morte, anzi con la morte addosso. Le notizie che arrivano dalle nostre frontiere d’acqua, dei barconi che anelano alle rive della salvezza con i cadaveri pigiati nella stiva, o da quelle di terra, con le immagini del camion abbandonato sul bordo dell’autostrada e i corpi morti all’interno fanno venire in mente le parole di Levi.


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