mercoledì 17 febbraio 2016

Regeni, il clamore mediatico

 



Condivido tutto quanto argomenta Ugo Tramballi. Purtroppo la gran parte dei nostri media ha sparato pseudo notizie on molta sicumera ignorando non solo il dolore dei genitori e degli amici, presentando l' attivita di ricerca come qualcosa di ambiguo se non riprovevole, gettando discredito sui supervisor di Cambridge, accusando il governo italiano di tacere, di voler insabbiare. In tutto questo le persone che si sono comportate con correttezza e umana empatia sono l'ambascuatore italiano al Cairo, la ministra Guidi, i veri amici e colleghi in loco che giustamente parlano solo con gli inquirenti. Il lavoro serio d'indagini ha bisogno di austero silenzio. (Anna Maria Gentili)


Ugo Tramballi
 I pericoli della corsa allo scoop
Il Sole 24ore, 17 febbraio 2016

È essenziale che si continui a parlare di Giulio Regeni, che si tenga alta l’attenzione di un’opinione pubblica naturalmente distratta da troppi problemi, troppe notizie, troppi siti. Al Cairo una parte del potere egiziano conta di prenderci per stanchezza, sperando che prima o poi la nottata passi. Ma occuparci del caso è un conto, trasformarlo in un intrigo internazionale è un altro. Ancora qualche giorno e Giulio Regeni diventerà Lawrence d’Arabia.
Era accorato e doloroso l’appello dei genitori: Giulio non era una spia. A un certo punto della loro vita, noi genitori incominciamo a non sapere quasi più nulla dei nostri figli. Ma quell’appello era una ribellione contro il montare di una pericolosa panna acida mediatica; avrebbe dovuto spingere tutti alla moderazione e all’equilibrio. L’invocazione dei genitori di Giulio è stata ignorata. Come già la settimana scorsa Il Manifesto aveva ignorato il loro primo appello: quello di non pubblicare il reportage che Giulio aveva scritto per quel giornale. Per un presunto primato del diritto d’informazione, i timori di due genitori devastati dalla loro tragedia sono stati scavalcati. Il Manifesto aveva anche trasformato Giulio nel suo eroe: come ammesso ieri dallo stesso giornale, Regeni aveva invece scritto per loro un solo pezzo.
Poi è saltato fuori che Giulio aveva collaborato con Oxford Analitica, una organizzazione che approfondisce gli avvenimenti internazionali e ogni tanto fa intelligence a pagamento. Ce ne sono molte in Occidente. Ma Oxford Analitica è diventata la Spectre. E il ritrovamento del corpo di Giulio proprio quando al Cairo c’era una nostra missione economica, un complotto contro l’Italia.
In questo momento, spaventati dal terrorismo e suggestionati dalla propaganda governativa, gli egiziani diffidano di ogni straniero. Anche l’iscrizione al club di Topolino oggi sarebbe una ragione di sospetto. Per gli studi che conduceva, Giulio era una spia più che potenziale per i numerosi Mukhabarat egiziani, tutti certi di avere una totale impunità rispetto alle loro azioni. Potrebbe esserci anche una risposta più semplice alla concomitanza fra ritrovamento del suo corpo e missione italiana: forse gli egiziani erano convinti che ci saremmo accontentati, che l’ambasciatore Maurizio Massari avrebbe smesso di bussare alle porte, il governo finalmente taciuto e le imprese continuato a fare affari.
Il mestiere del cronista è bellissimo ma molto difficile. Lo si impara passando le nottate nella sala stampa della Questura a leggere brogliacci e giocare a carte con gli agenti di turno. O camminando e camminando per le strade del Cairo, studiando la sua gente: quella in alto e quella in basso. Chi ha avuto la fortuna di passare per questa scuola variegata è un buon cronista, gli altri credono sia solo una questione di scoop. I primi sviluppano un senso essenziale di pietà umana quando cercano la notizia. Gli altri no.

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