venerdì 5 febbraio 2016

Vasilij Grossman a Stalingrado



Bernardo Valli 
Qui Stalingrado: escono i taccuini dal fronte di Grossman
I diari di Vasilij il più grande reporter di guerra di tutti i tempi
Si offrì volontario subito dopo l’aggressione della Germania e fu scartato: era miope, goffo e impacciato Ma poi si ritrovò in prima linea come cronista

la Repubblica, 5 febbraio 2016

... La battaglia di Stalingrado è la sua esperienza più intensa. E rivelatrice. Egli passa cinque mesi, fino al gennaio ‘43, nella città che si stende sulla riva occidentale del Volga. E il Volga sarà un filo conduttore di Vita e destino, il romanzo cui l’autore non pensa ancora. Una ventina d’anni dopo, da poco ultimato, quando è ancora un manoscritto, sarà subito sequestrato dai censori sovietici. Verrà tuttavia pubblicato lo stesso, postumo, nel 1980 in Occidente, dove erano arrivate clandestinamente una o due copie.
I cultori di Vita e destino, troppo pochi rispetto alla grandezza dell’opera, cercano nei taccuini le tracce del futuro romanzo. Il Volga non è soltanto un filo conduttore di cui si serve il narratore: per lui è soprattutto l’arteria principale della Russia che fa affluire sangue vitale a coloro che si immolano nell’assedio. Lo sottolineano giustamente i curatori della raccolta di scritti sparsi di Grossman. Lui era un idealista ed era convinto che l’eroismo dimostrato dall’Armata rossa, del quale era stato un testimone, non avrebbe condotto unicamente a una vittoria militare decisiva per il conflitto mondiale in corso. Pensava che avrebbe cambiato radicalmente anche la società sovietica. Insieme al nazismo e all’antisemitismo sarebbero stati sconfitti gli organizzatori del Gulag, l’Nkvd, i processi abusivi, persecutori, promossi da Stalin e poi dai successori. La battaglia di Stalingrado, con il sangue versato, avrebbe avuto l’effetto di una catarsi.
Le note dei taccuini prendono forma in Vita e destino. Sentendosi liberi, perché certi di essere condannati a morte, i soldati e gli ufficiali dicono quel che vogliono. Non si curano delle spie e dei commissari politici. Tanto che uno di questi, Krymov, in servizio a Stalingrado, pensa di essere arrivato in un paese, in un reame, senza partito. Lui stesso sente la libertà come nei primi giorni della rivoluzione.
Per Grossman a Stalingrado doveva nascere la democrazia. La delusione lo conduce al dialogo che in Vita e destino mette di fronte l’SS Liss e il vecchio leninista Mostovskoi.
E che è una pagina chiave dell’opera. Il tedesco Liss sostiene che i due sistemi sono due specchi che riflettono immagini identiche. Il nazismo ha fondato il suo totalitarismo sull’idea nazionale, il comunismo sulla nozione di classe. Questa la differenza originaria. Ma poi l’internazionalismo comunista è degenerato in un nazionalismo di Stato che non lo distingue troppo dal suo avversario.
Nel dopoguerra Grossman subisce due affronti che inaspriscono la sua avversione per il regime sovietico e che lo portano a considerarlo nella pratica simile al nazismo. Lo feriscono la campagna antisemita, fra il ‘49 e il ‘53, e la proibizione di raccontare lo sterminio degli ebrei in Russia (di cui è stata vittima sua madre). Benché molti campi nazisti siano stati liberati dall’Armata Rossa, Mosca non vuole che si sottolinei il sacrificio degli ebrei e vuole che tutti i morti siano russi e basta. La partecipazione di cittadini sovietici, di varie nazionalità, al massacro nei territori occupati dai tedeschi, è una realtà che disturba.
I giudizi di Grossman sul regime si appesantiscono senza intaccare il patriottismo che l’aveva animato a Stalingrado. Anche se l’eroismo russo sul Volga è stato tradito.

IL LIBRO Uno scrittore in guerra di Vasilij Grossman ( Adelphi, traduzione di Valentina Parisi pagg. 471, euro 23)

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