venerdì 22 dicembre 2017

Il destino di Maria Antonietta






Stefan Zweig, Maria Antonietta. Una vita involontariamente eroica, traduzione di Lavinia Mazzucchetti, Castelvecchi, Roma 2013

... Se la Rivoluzione non fosse scoppiata nel suo mondo sereno e spensierato, questa figlia d’Asburgo avrebbe tranquillamente continuato a vivere come cento milioni di donne di tutti i tempi: avrebbe ballato, chiacchierato, amato, riso, fatto del lusso, delle visite, elargito elemosine, avrebbe messo al mondo dei figli, e si sarebbe alla fine distesa
tranquillamente nel suo letto per morire prima di avere partecipato comunque allo spirito del suo tempo. Le avrebbero, perché regina,eretto un solenne catafalco, dedicato il lutto di corte, ma poi sarebbesvanita dalla memoria dell’umanità, al pari di tutte le innumerevoli altre principesse, le Marie Adelaide e Adelaide Marie, le Anne Caterine e Caterine Anne, i cui epitaffi dormono, non letti, nelle fredde pagine dell’almanacco di Gotha. Mai uomo alcuno avrebbe sentito il desiderio d’interrogare la sua anima spenta, nessuno avrebbe saputo chi fosse in realtà; non solo, ma – e questo è l’essenziale – lei medesima, Maria
Antonietta, regina di Francia, senza le prove della sorte, mai avrebbe appreso e saputo la sua vera grandezza. Poiché fa parte della felicità o infelicità dell’uomo mediocre il non sentire bisogno alcuno di misurare sé stesso, il non provare la curiosità del proprio io prima che giunga il destino a interrogarlo. L’uomo mediocre lascia dormire inutilizzate le
sue possibilità, lascia atrofizzarsi le sue doti, allentarsi le forze, come muscoli che non vengano adoperati finché la necessità non li tende a difesa. Un carattere mediocre vuole la costrizione a uscire da sé stesso per divenire tutto ciò che potrebbe e, forse, al di là di quanto egli stesso presagiva: il destino non ha perciò altra sferza che la sventura. Come
talvolta un artista, per dar prova delle proprie energie creative, cerca di  proposito un soggetto esteriormente modesto invece di uno patetico e universale, così di tanto in tanto il destino cerca un eroe insignificante per dimostrare come anche da una materia scadente possa svilupparsi la più alta tensione, da un’anima debole e mal disposta una grandiosa
tragedia. E una simile tragedia, una tra le più belle di questo eroismo involontario, ha nome Maria Antonietta.
Con quale arte, infatti, con quale varietà fantastica di episodi, con che inaudite dimensioni la storia sa qui inserire una creatura mediocre entro il suo dramma; con quanta abilità armonizza i contrasti attorno alla poco interessante figura centrale! Dapprima, con astuzia diabolica, la vizia indulgente; assegna alla bambina come dimora una corte imperiale, impone all’adolescente una corona, concede prodigalmente alla giovane sposa i doni della grazia e della ricchezza; per di più le fa dono d’un cuore leggero, che non chiede il prezzo e il valore di questi regali.
Per anni va viziando, accarezzando un cuore irriflessivo e imprudente, finché perde l’equilibrio e si fa sempre più spensierato. Ma quanto più è rapido e facile il destino di questa donna nella sua ascesa fino alle vette estreme della felicità, tanto più raffinatamente crudele nella sua lentezza sarà la caduta. È un dramma che ci offre faccia a faccia i
contrasti estremi con brutalità da melodramma: da una dinastia secolare a un orrido carcere, dal trono al patibolo, dalla berlina tutta dorature e cristalli alla carretta dei condannati, dal lusso alle privazioni, dalle bsimpatie universali all’odio, dal trionfo alla calunnia; sempre più giù, sempre più inesorabilmente, sino all’estremo abisso. E questa piccola donna, colta all’improvviso fra gli agi della vita viziata, questo cuore inesperto, non arriva a comprendere ciò che la forza ignota chiede e impone: sente soltanto l’aspra mano che stringe, l’artiglio rovente che s’infigge nelle carni martoriate; la creatura ignara, non avvezza e non propensa al dolore, ne rifugge, non vuole, geme, cerca di fuggire... Ma con l’inesorabilità di un artista, che non desiste prima di aver strappato
alla sua materia la tensione estrema, l’ultima possibilità, la mano esperta della sventura non rinuncia a Maria Antonietta prima di averne martellata l’anima debole e molle sino a darle forza e saldezza, finché non ha tratto da lei, con plastica evidenza, tutta la grandezza dei genitori, degli avi e degli antenati che in essa dormiva sepolta. Finalmente, quasi
sussultando a un tratto nel suo tormento, la sventurata, che mai se n’era resa conto, avverte la propria trasfigurazione, mentre la sua potenza esteriore tramonta, comprende che in lei avviene qualcosa di nuovo e di grande che senza quelle sciagure mai sarebbe stato possibile. «C’est dans le malheur qu’on sent d’avantage ce qu’on est», queste parole
un po’ orgogliose e un po’ sgomente le sgorgano a un tratto dalla bocca stupita: la coglie il presagio che appunto, in nome di quel dolore, la sua mediocre esistenza vivrà quale esempio ai posteri e, in tale coscienza di una responsabilità più alta, si sublima il suo carattere. Poco prima che la spoglia mortale s’infranga, l’opera d’arte è perfetta e imperitura, perché appunto nell’ultima, nella suprema sua ora, Maria Antonietta raggiunge
finalmente tragiche proporzioni e si fa grande al pari del suo destino.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2001/08/23/la-regina-maria-antonietta-donna-martire.html

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